È difficile immaginare come reagiremmo se fossimo noi le vittime di una violazione dei nostri diritti fondamentali. Tre storie svizzere dimostrano il ruolo cruciale della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo per le persone che vedono calpestati i propri diritti.
di Manuela Reimann Graf
Discriminato a causa del diabete
Aveva fretta di cominciare la scuola reclute quando è arrivata la diagnosi: diabete. Il figlio di Hans Glor voleva assolutamente svolgere il servizio militare, ma è stato scartato. Anche il servizio civile gli è stato rifiutato. Non gli restava altro da fare che pagare una tassa di esenzione dall’obbligo di servire, 700 franchi all’anno. Il giovane ha scritto molte lettere, rivolgendosi anche al Consigliere federale Samuel Schmid. Invano. Poi padre e figlio si sono rivolti ai tribunali. “Mio figlio voleva servire sotto la bandiera del suo paese. Non solo non gli è stato dato questo diritto, ma è stato obbligato a pagare la tassa di esenzione. Questo è ingiusto”, ha spiegato suo padre.
Nel 2004 il Tribunale federale ha respinto la causa del figlio, motivando che solo le persone con un tasso di invalidità superiore al 40% sono dispensate dalla tassa di esenzione. Non è il caso del figlio di Hans Glor.
“Quando ho deciso di portare il mio caso davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tutti mi hanno detto che ero matto,” ricorda Hans Glor. Si è informato su internet per capire quali passi intraprendere. Nel 2009 i giudici di Strasburgo gli hanno dato ragione. Hanno ritenuto che una persona con un leggero handicap dovrebbe essere autorizzata a coprire una funzione nell’esercito o, se questo non fosse possibile, svolgere il servizio civile. Il Tribunale ha confermato ciò che Hans Glor ha sempre saputo: la tassa di esenzione era discriminatoria. Grazie a questa decisione oggi i giovani leggermente handicappati hanno la possibilità di scegliere tra la scuola reclute e il pagamento della tassa di esenzione.
Incarcerata ingiustamente
A 17 anni le hanno tolto suo figlio, per poi incarcerarla nella prigione per donne di Hindelbank. Nel 1966 i servizi di tutela hanno messo in atto questa “misura educativa” perché Ursula Biondi era innamorata di un uomo divorziato, sette anni più grande di lei, e perché era incinta. “Il tempo trascorso a Hindelbank ha lasciato delle cicatrici profonde e decenni di ripercussioni emotive. Mi hanno tolto mio figlio e la mia dignità. Allo stesso modo lo Stato ha segnato per sempre migliaia di persone.”
Ursula Biondi ha trascorso un anno intero tra le mura del penitenziario femminile, soggetta a una misura di “internamento amministrativo”. Appena nato, suo figlio è stato affidato a una famiglia adottiva. “Non ho nemmeno potuto abbracciarlo. Non mi hanno nemmeno detto se era maschio o femmina”. Ursula Biondi si è battuta per avere il diritto di trascorrere dieci giorni con suo figlio. Poi le è stato tolto – per sempre, le hanno detto.
Dopo tre mesi di una dura battaglia, la felicità di riabbracciare finalmente suo figlio. Passeranno altri cinque mesi prima che Ursula possa lasciare la prigione, liberata per “buona condotta” alla vigilia del suo diciottesimo compleanno. La giovane donna ha fondato una famiglia a Ginevra, dove ha fatto carriera lavorando alle Nazioni Unite. Ma non è guarita dal trauma subito a Hindelbank. Un sentimento di ingiustizia la attanaglia ancora oggi. Solo anni dopo ha trovato il coraggio di parlare pubblicamente della sua vicenda e, insieme ad altre donne che hanno subito lo stesso destino, esigere dallo Stato una riparazione per torto morale. All’epoca migliaia di giovani e adulti, donne e uomini, erano stati incarcerati senza un processo, per “scarsa moralità”, “vagabondaggio”, “nullafacenza”. Solo nel 1981, sotto la pressione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la Svizzera ha riformulato il Codice civile per abolire l’internamento amministrativo. E solo decenni più tardi, il 1 agosto 2014, ha votato una legge per riabilitare le persone che ne sono state le vittime fino al 1981.
Incarcerato e torturato
Nel 2009 l’Ufficio federale della migrazione (UFM) gli ha rifiutato il diritto di soggiornare legalmente in Svizzera. La sua richiesta di asilo e quella di sua moglie sono state respinte. In vano X (per ragioni di sicurezza il suo nome non può essere divulgato) ha fatto valere le persecuzioni politiche di cui aveva sofferto nel suo paese, lo Sri Lanka, la sua detenzione e le torture subite in qualità di ex membro delle Tigri Tamil. X ha inoltrato ricorso contro questa decisione, ma è stato respinto dal Tribunale amministrativo federale.
Nel 2013, X, sua moglie e i loro due figli sono stati respinti verso il loro paese d’origine. Appena arrivata all’aeroporto di Colombo, la famiglia è stata arrestata e interrogata per tredici ore. La moglie e i figli sono stati liberati, mentre X è stato incarcerato e molestato. In seguito alla visita in carcere da parte di un rappresentante dell’Ambasciata svizzera nel paese, le autorità elvetiche hanno organizzato il ritorno in Svizzera per la moglie e i figli di X. Un’altra persona di orgine Tamil respinta ha vissuto la stessa identica storia: è stato arrestato immediatamente dopo il suo arrivo a Colombo.
È stato solo nell’aprile 2015 che X è stato liberato e ha potuto presentare la propria richiesta di permesso umanitario. Questa volta la sua richiesta è stata accettata e ha potuto raggiongere moglie e figli in Svizzera. Anche la sua domanda d’asilo è andata in porto. La CEDU è entrata in materia sulla sua denuncia, anche se nel frattempo la Svizzera aveva accolto la richiesta di asilo dell’uomo.