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Arbitrio invece di uno Stato di diritto
La nuova legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (MPT) autorizza fedpol, su richiesta del Servizio delle attività informative della Confederazione e di un’autorità cantonale o comunale, a ordinare le seguenti misure restrittive: obbligo di presentarsi e di partecipare a dei colloqui, divieto di contatto, divieto di lasciare e di accedere ad aree determinate (divieto geografico), divieto di lasciare il Paese, sorveglianza elettronica e localizzazione tramite telefonia mobile e residenza coatta (arresti domiciliari).
Una persona che non ha niente da rimproverarsi dal profilo del diritto penale potrebbe essere catalogata, su semplice segnalazione dei servizi di informazione, come potenzialmente pericolosa. Da quel momento potrebbe essere l’oggetto di misure di polizia senza che esista il benché minimo sospetto che si appresti a commettere un reato. Le conseguenze di queste misure potrebbero limitare gravemente la vita della persona toccata e della sua famiglia. L’obbligo di presentarsi e di partecipare a dei colloqui o delle misure geografiche possono, per esempio, impedire alla persona interessata di recarsi al suo lavoro. Numerosi esperti indipendenti e di organismi internazionali e nazionali hanno criticato queste misure restrittive, ritenendo che limitino abusivamente una serie di diritti umani quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto al lavoro, a un processo equo, alla libertà di movimento e al diritto a un ricorso effettivo.
Nell’ambito della procedura di consultazione e durante i dibattiti parlamentari, Amnesty International si è già espressa con forza contro questa legge. Con il pretesto della lotta al terrorismo, la legge spinge i limiti fissati all’azione dello Stato in un ambito che era fino ad oggi, a giusto titolo, rimasto intoccabile, ovvero il controllo della vita privata di persone innocenti. La legge sulle misure di polizia costituisce una rottura con lo Stato di diritto e ricorda i metodi impiegati dai regimi autoritari, che non hanno luogo di esistere nel diritto svizzero.
Dei termini giuridici che aprono la porta agli abusi
Le leggi sulle misure di polizia utilizza intenzionalmente dei termini giuridici vaghi che lasciano un enorme margine di interpretazione alla autorità. Affinché fedpol possa ordinare delle misure di polizia è sufficiente avere degli «indizi» che lasciano pensare che la persona interessata «si suppone compirà delle attività terroristiche» in un futuro incerto. La base della sicurezza preventiva ripone su delle congetture della polizia riguardo eventuali atti delittuosi che una persona potrebbe commettere un giorno mentre non sussiste ancora alcun sospetto concreto di un crimine.
Un’ «attività terroristica» è definita come «azioni tendenti a influenzare o a modificare l’ordinamento dello Stato» in particolare «propagando paura e timore». Questa definizione non presuppone alcun reato penale né l’uso o la minaccia della violenza, contrariamente a quanto esigono gli standard internazionali. Con dei termini molto ampi anche una protesta politica legittima, come lo sciopero per il clima, può essere considerata come «terrorismo».
L’interpretazione di questi criteri volutamente imprecisi è lasciata interamente alla discrezione di fedpol e si fonda generalmente su informazioni segrete del Servizio delle attività informative della Confederazione che sono difficili se non impossibili da verificare. Fedpol sarebbe autorizzata, a sua discrezione e senza autorizzazione giudiziaria (ad eccezione degli arresti domiciliari) a provocare delle limitazioni gravi dei diritti fondamentali e dei diritti umani.
Le prognosi di potenziale pericolosità di una persona sono sempre problematiche e fortemente influenzate dalla soggettività, accentuate dall’esistenza di pregiudizi e stereotipi. Lo stesso Consiglio federale ha dichiarato nel suo messaggio sulla legge che la valutazione necessaria della pericolosità è un processo «viziato dalle incertezze». L’affidabilità della prognosi di pericolosità è molto controversa, anche tra gli psichiatri forensi e nel mondo scientifico. Tuttavia, con questa legge, per considerare che una persona sarebbe «potenzialmente pericolosa», fedpol non avrebbe bisogno di ricorrere a valori empirici, né a metodi scientifici: le basterebbe supporre che questa persona sia suscettibile di commettere, in futuro, degli atti pericolosi. Quindi nessuno è al sicuro poiché siamo tutte e tutti «potenzialmente pericolosi». E possiamo quindi diventare tutte e tutti, per così dire, l’oggetto di queste misure.
Di conseguenza, con dei termini così vaghi, questa legge costituisce un terreno propizio all’arbitrio e agli abusi, come pure al rischio di vedere molte persone essere al centro di un sospetto generalizzato a causa dei loro atteggiamenti ed espressioni personali.
Libertà d’opinione in pericolo
Secondo le norme dei diritti umani, le dichiarazioni che non costituiscono un «appello alla violenza» sono protette dalla libertà d’espressione, anche se appaiono offensive o controverse. Se le dichiarazioni in questione non costituiscono una minaccia immediata di commettere un atto violento, una limitazione della libertà d’espressione non è in questo caso giustificata.
La definizione imprecisa e ampia nella legge della nozione di «attività terroristiche» rischia di provocare dei procedimenti giudiziari per degli atti legittimi dal punto di vista della libertà d’opinione. La legge potrebbe avere un effetto dissuasivo sulla libertà di espressione e di stampa, spingendo all’autocensura numerose persone tra le quali attivisti politici e giornalisti. La legge avrà un effetto intimidatorio sulle persone che si vogliono esprimere nell’ambito di un dibattito pubblico e controverso, scoraggiandole dal fare dichiarazioni critiche che non sono conformi a quelle delle autorità. Un effetto paralizzante per la società civile.
Andare oltre la giustizia penale e le garanzie procedurali
Uno Stato è, in regola generale, autorizzato a limitare le libertà individuali e la vita privata di una persona quando sussistono motivi legittimi di sospettare che questa abbia commesso un reato. Viene quindi aperta una procedura penale contro questa persona, che beneficia delle garanzie di protezione che ne derivano.
Tuttavia, la nuova legge sulle misure di polizia autorizza un’autorità amministrativa (fedpol) a imporre delle misure coercitive che hanno un carattere penale e costituiscono delle gravi limitazioni dei diritti umani, e a fare ciò unicamente sulla base di sospetti molto vaghi e non sulla base di delitti effettivamente commessi. Queste misure amministrative preventive anticipano il diritto penale e portano a bypassare la giustizia penale ordinaria, i suoi principi e le sue garanzie procedurali poiché le autorità non hanno l’intenzione di aprire un’indagine o di avviare un procedimento contro le persone toccate. Quando le misure si spingono al punto di costituire una privazione della libertà, nel caso specifico gli arresti domiciliari, si sostituiscono completamente alla procedura penale. Scartare così volontariamente la giustizia penale preoccupa e favorisce la creazione di un sistema giuridico parallelo.
Le persone interessate non avranno la benché minima possibilità di difendersi contro le misure poiché le garanzie procedurali previste dal diritto penale si applicano solo raramente nell’ambito amministrativo. In particolare, con l’eccezione degli arresti domiciliari, non c’è un controllo giudiziario preliminare sull’imposizione di queste misure. La persona toccata può in seguito ricorrere contro una decisione della fedpol al Tribunale amministrativo federale, il ricorso però non ha effetto sospensivo.
Anche la procedura di accertamento delle prove manca quasi totalmente di trasparenza poiché, nella maggior parte dei casi, le misure si basano su informazioni del Servizio delle attività informative della Confederazione e la persona interessata dal provvedimento generalmente non può accedervi. Quindi non conoscerà i motivi di sospetto precisi, rispettivamente gli «indizi», fatto che limita fortemente la possibilità di contestare le misure. L’utilizzo di queste informazioni segrete compromette la presunzione d’innocenza e il diritto a un equo processo. L’onere della prova non incombe più alle autorità che non devono più dimostrare che un reato è stato commesso. Al contrario, la persona toccata deve fornire la prova impossibile che non è una «persona potenzialmente pericolosa» – una situazione totalmente assurda. Con l’inversione dell’onere della prova e l’assenza di un esame sistematico della proporzionalità da parte di un tribunale indipendente, la legge mina i principi dello Stato di diritto, il cui scopo è, in particolare, la difesa contro le azioni arbitrarie dello Stato. Le persone implicate sono quindi punite preventivamente senza processo equo e senza la possibilità effettiva di contestare queste misure.
Tendenza ad eludere preventivamente le minacce
Gli strumenti preventivi utilizzati per lottare contro le attività terroristiche sono regolarmente stati rafforzati negli ultimi anni: il piano nazionale di lotta contro il radicalismo e l’estremismo violento, la legge sul Servizio delle attività informative della Confederazione come pure l’adozione di nuove norme penali e il rafforzamento delle pene massime nel codice penale. È stata introdotta una nuova disposizione penale contro il “reclutamento, addestramento e viaggio finalizzati a commettere un reato terroristico (art. 260sexies AP-CP). Ne risulta una forte progressione della punibilità nel campo astratto: sono punibili gli atti che si riferiscono semplicemente a delle future infrazioni terroristiche potenziali e che sono di gran lunga anteriori a queste eventuali infrazioni. Queste disposizioni preventive nel diritto penale si spingono già molto in là e sono sufficienti per lottare contro le minacce eventuali. La nuova legge sulle misure di polizia fa quindi un passo in più verso la prevenzione della criminalità e la lotta preventiva contro atti che non sono nemmeno riconoscibili come delle infrazioni penali.
Misure stigmatizzanti
Con la legge sulle misure di polizia sussiste anche il pericolo che il sospetto non sia più rivolto contro determinate persone, come nel diritto penale, ma sia un sospetto generalizzato nei confronti di gruppi interi di persone all’interno dei quali delle persone sono sospettate di essere «pericolose». Come identificare le persone potenzialmente pericolose? Una combinazione di caratteristiche (età, sesso, origine, religione…) diventano il punto di partenza del profilaggio e della sorveglianza da parte delle autorità – e un fattore di rischio per le persone toccate. Questo approccio può portare alla stigmatizzazione e alla marginalizzazione di gruppo interi della popolazione. Una politica di sicurezza di questo genere, che accetta delle restrizioni o perfino delle violazioni dei diritti umani, è una strategia poco lungimirante. Per una prevenzione efficace di atti criminali l’accento deve essere posto sul rispetto dei diritti umani così da prevenire l’esclusione sociale e garantire a ogni individuo la possibilità di integrarsi nella società.
Detenzione senza incolpazione o senza procedura penale
Gli arresti domiciliari sono la misura più incisiva poiché costituiscono una privazione della libertà ai sensi della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti Umani. Gli arresti domiciliari dovrebbero venir applicati quando altre misure preventive non sono rispettate e la persona toccata rappresenta «una minaccia considerevole per la vita o l’integrità fisica di terzi».
In assenza di una condanna gli arresti domiciliari preventivi sono sottoposti alle esigenze del diritto costituzionale e convenzionale della custodia per motivi di sicurezza. La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) la ritiene ammissibile solo quando non ha un carattere punitivo e permette di garantire direttamente l’esecuzione di un obbligo imposto dalla legge (art. 5, cpv. 1, lett. b CEDU). Tuttavia, in quanto misura punitiva in caso di violazione di un ordine di polizia, gli arresti domiciliari costituiscono invece una pena privativa della libertà senza accusa, senza procedura penale e senza condanna. Inoltre, ci si può chiedere in quale misura sia sensata contribuire all’applicazione di altre misure preventive, quali l’obbligo di partecipare a colloquio o il divieto di contatti.
In aggiunta, gli arresti domiciliari sono autorizzati unicamente se sussiste un’ipotesi fondata che un reato di grave entità o che è probabile che venga commessa un’importante violazione di beni di polizia e che può essere determinato in ragione del luogo, del tempo e delle possibili lesioni (art. 5, cpv. 1, lett. b e c CEDU). Tuttavia la formulazione del progetto di legge permette gli arresti domiciliari anche nel caso in cui l’esperienza dimostri che esiste una minaccia generale ma che il fatto di commettere un reato concreto e grave può solo essere ipotizzato. Quindi gli arresti domiciliari previsti nella legge sulle misure di polizia sono incompatibili con l’articolo 5 CEDU.
In fine, questa disposizione è superflua. Già attualmente una persona può essere detenuta nel caso di minaccia di un delitto grave (minaccia di passare all’atto) conformemente all’articolo 221, cpv. 2, del codice di procedura penale (CPP) – anche senza sospetto concreto di questo crimine. Peraltro, le leggi cantonali sulla polizia contengono numerose disposizioni sulla lotta alle minacce concrete.
Calpestato l’interesse superiore del bambino
La legge sulle misure di polizia prevede che sia permesso ordinare delle misure di coercizione nei confronti di bambini di 12 anni e di mettere agli arresti domiciliari dei minori a partire dall’età di 15 anni. Questi limiti d’età bassi sono in conflitto con il diritto penale dei minori svizzero e gli obblighi della Svizzera in materia di diritti umani in virtù della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dell’infanzia.
Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (CDI), tutte le misure che riguardano le persone di meno di 18 anni devono essere fondate sull’ «interesse superiore del bambino» (articolo 3, cpv. 1, CDI). Per quel che riguarda il principio dell’interesse superiore del bambino, il Comitato sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite ha dichiarato che «la protezione e le cure» devono essere forniti in modo da assicurare «il benessere e lo sviluppo del fanciullo». La nozione di benessere del bambino, in senso ampio, include la soddisfazione dei suoi bisogni materiali, fisici, educativi e affettivi come pure i suoi bisogni in termini di affetto e sicurezza (Osservazione generale n°14, paragrafo 71).
La CDI prevede pure che il bambino/minore in conflitto con la legge abbia diritto a «un trattamento tale da favorire il suo senso della dignità e del valore personale, che rafforzi il suo rispetto per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e che tenga conto della sua età nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima» (articolo 40, cpv. 1, CDI).
Nel ratificare la CDI, la Svizzera si è impegnata a dare la priorità alla risocializzazione dei bambini/minori confrontati con il sistema giudiziario. Di conseguenza il diritto penale minorile svizzero fa della «protezione e dell’educazione» dei minori un principio fondamentale (art.2, cpv. 1, DPMin). In questo senso le sanzioni devono sì stabilire dei limiti ma devono soprattutto avere un effetto educativo.
Contrariamente alle esigenze dei diritti umani, la legge sulle misure di polizia ha come effetto di stigmatizzare i bambini e i giovani. A causa della loro età, i minori spesso non hanno la capacità di valutare correttamente le conseguenze dei propri atti – un aspetto che dovrebbe venir preso in considerazione. La contraddizione giuridica è ulteriormente esacerbata nella misura in cui il progetto di legge non accorda ai minori diritti procedurali speciali nell’ambito delle misure di polizia.
Nonostante degli strumenti di prevenzione sufficienti siano già disponibili nell’ambito educativo e sociale, nella protezione dei bambini nel diritto civile e nel diritto penale (minorile), la legge sulle misure di polizia limita senza condizioni i diritti umani dei bambini e degli adolescenti.