©Anne-Marie Pappas
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Violenze sessuali sulle donne Il sessismo al cuore della cyber-violenza

25 luglio 2019
Fenomeno recente e ancora sottovalutato, le cyber-violenze colpiscono le donne in modo sproporzionato. Questi attacchi virtuali, caratterizzati da un pubblico quasi illimitato e una rapidità di diffusione, hanno delle conseguenze molto concrete. Articolo di Emilie Mathys, pubblicato nella rivista AMNESTY n.98, giugno 2019

“Avere paura davanti al computer, è già confrontarsi con la vita reale”, ricordava la giornalista francese Nadia Daam durante un dibattito sulla cyber-violenza al Festival du film et forum international sur les droits humains (FIFDH) a Ginevra. Nel 2017, è stata al centro di una campagna di odio digitale dopo una sua rubrica radiofonica che condannava le molestie subite da due attiviste femministe, e ancora oggi è segnata dalle minacce di morte e stupro che le sono state rivolte e si sono diffuse nella rete. Il suo non è un caso isolato, come lo ha ricordato il recente caso della Ligue du LOL, dal nome di un gruppo Facebook creato da giornalisti francesi per molestare e insultare le colleghe donne e/o omosessuali. In Svizzera Tamara Funiciello, la presidente dei Giovani socialisti, che è molto presente sui social, ha rivelato lo scorso febbraio ai microfoni della RTS di ricevere regolarmente minacce di morte e di stupro.

Prolungamento della violenza off line

Questo nuovo genere di violenza, figlio delle nuove tecnologie, è esploso negli ultimi anni. Insulti e minacce basati sul genere - in particolare le minacce di stupro, le foto pubblicate senza autorizzazione, il tracciamento online nascosto, la divulgazione di informazioni personali, la pornografia non sollecitata o ancora il furto dell’identità - sono gli elementi che compongono questo fenomeno ancora sottovalutato. Lo dimostra la mancanza di dati sul tema. Gli obiettivi principali? Le donne e le ragazze che sono toccate in modo sproporzionato, come riferisce uno studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE). “Queste violenze sono in primo luogo violenze sessiste,” rincara la dose Bérengère Stassin, ricercatrice in scienze dell’informazione e della comunicazione specializzata in cyber-molestie. Anche le conclusioni di un rapporto di Amnesty del 2018 dimostrano che ogni 30 secondi in media una donna subisce molestie su Twitter. “La cyber-violenza è un prolungamento della violenza off line,” ricorda la ricercatrice. “Omofobia, transfobia e razzismo sono pure molto presenti online. Queste discriminazioni sono sempre esistite, internet non ha inventato niente.”

In effetti, se la rete è uno specchio della società, amplifica anche le violenze a causa del pubblico illimitato. Questa è una caratteristica della cyber-violenza: un numero considerevole di individui ha accesso a un’informazione che, off line, sarebbe limitata a una piccola cerchia di persone. Un tweet di insulti, un video problematico possono così trasformarsi in un istante in un fenomeno di massa e incontrollabile.

Un’altra caratteristica delle violenze digitali è l’anonimato. Come spiega Bérengère Stassin, “il passaggio all’atto è incoraggiato dal pensiero di poter agire di nascosto, fatto che favorisce la mancanza di empatia. Quando si proferiscono insulti comodamente seduti davanti allo schermo non si vede il viso dell’altra persona. Non si vede il male che si causa.” L’anonimato in realtà è relativo poiché, ricorda la ricercatrice, tutto ciò che viene postato online lascia delle tracce che possono ricomparire anni dopo.

Attacchi virtuali, danni reali

Come nella vita reale, queste violenze 2.0 hanno un impatto anche sulle relazioni intime. Una situazione vissuta da Julie (nome di fantasia), 25 anni, vittima di cybermolestie domestiche da parte del suo ex. Quando ha cercato di lasciarlo, dopo 6 mesi di relazione, la situazione è precipitata. La giovane donna decide quindi di bloccarlo sui social. Ma il suo ex compagno trova comunque il modo di contattarla, creando dei nuovi indirizzi mail. “Ha minacciato di rivelare determinate cose su di me e sulla mia famiglia. Sapeva che lo sguardo altrui è importante per me,” racconta Julie “Diceva di avere delle foto compromettenti.” Riesce a lasciarlo definitivamente dopo due anni di relazione, ma le minacce quotidiane continuano nei mesi seguenti, attraverso falsi profili Instagram, telefonate da numeri sconosciuti, e-mail minacciose… “Questa storia mi ha molto turbata a livello psicologico. Si crea un’atmosfera pesante, si ha l’impressione che non ci siano limiti alle molestie online, che il nostro aggressore può contattarci tramite tutti i social. Si vive nella paura,” confessa la giovane donna, che per due settimane ha portato con se uno spray al pepe per poter reagire ad eventuali aggressioni. È stato quando il suo aggressore si è presentato sul suo posto di lavoro che finalmente Julie si è potuta rivolgere alla polizia. Per la giovane donna la cosa più complicata è stata la mancanza di prove. “Mi hanno consigliato di fare degli screenshot, ma può succedere di cancellare i messaggi.”

In Svizzera nessun articolo del Codice penale punisce specificatamente le molestie, ed ancor meno quelle virtuali. Se esistono dei mezzi per agire, spesso questi non danno grandi risultati. “Si può sporgere denunciare per lesioni della personalità, tentare di far valere il diritto d’autore nel caso di immagini divulgate senza autorizzazione, o ancora fare denuncia per lesione dell’onore in caso di diffamazione o insulti. In questi casi sta alla giustizia trovare i colpevoli,” precisa Michel Jaccard, avvocato dello studio specializzato “id est avocats”, che ammette “questi casi non sono ancora presi sul serio”. Non esiste ancora una procedura accelerata per questi casi. Secondo l’avvocato è meglio lavorare direttamente con le piattaforme toccate, denunciando il contenuto offensivo, per esempio. In definitiva siamo ancora ”molto vulnerabili nell’ambito delle cybermolestie, ed esistono poche risorse efficaci per combatterlo e farlo condannare, anche se la legge potrebbe cambiare in futuro. L’Ufficio federale della giustizia sta lavorando in questo senso.”

Ma se la legge è sempre un passo indietro, si assiste invece a una presa di coscienza individuale. Michel Jaccard, che interviene nelle scuole sul tema, osserva che i giovani si rendono contro che condividere un contenuto problematico può avere delle vere conseguenze giuridiche. Dal canto suo, la ricercatrice Bérengère Stassin osserva che in seguito al movimento #MeToo e al francese #BalanceTonPorc, le giovani donne esitano sempre meno a denunciare le agrressioni e le minacce di cui sono vittime.

In un’epoca in sui internet è diventato una necessità è fondamentale far sì che sia uno spazio nel quale la libertà d’espressione non vada a scapito del rispetto delle persone. Se non sarà così a pagare il prezzo sarà la parità.