Amnesty: Le violenze sessuali sono un modo per esprimere una volontà di dominio?
Marylène Lieber: Si, certo, le violenze sessuali non sono altro che l’espressione della volontà di affermare un potere su un’altra persona. Nella prospettiva femminista la questione dell’affermazione di un rapporto dominante è estremamente importante. Nel caso di aggressioni sessuale, che non sono solo commesse da uomini contro donne, c’è una mancata presa in considerazione dell’altro come persone, dei suoi desideri e dei suoi affetti.
Assegnando agli uomini e alle donne delle funzioni e delle posizioni sociali inique il modello patriarcale ha provocato una violenza specifica contro le donne?
Sì. Le violenze sessuali sono legate a una questione strutturale. Non sono il frutto di una devianza o un atto di persone che non sono normali o che non applicano le regole. Si tratta di una riaffermazione delle gerarchie legate al genere o ai rapporti sociali tra uomini e donne, e il maschile domina. Esiste un continuo di violenze che mette in evidenza tutta una serie di atti e di pratiche che, esse stesse, scaturiscono da un rapporto di dominazione.
Nei paesi occidentali si direbbe però che il sistema patriarcale sta regredendo…
Viviamo una situazione paradossale. La dimensione patriarcale è stata ampiamente messa in discussione negli ultimi decenni. Esiste un vero e proprio arsenale di leggi sulla parità tra uomini e donne. In Svizzera la legge sulla non discriminazione è iscritta nella Costituzione. Il Codice penale include una serie di articoli che riconoscono diverse forme di violenza, come ad esempio lo stupro coniugale. Ma delle rappresentazioni, dei modi di fare, delle riflessioni continuano ad iscriversi in una gerarchizzazione delle entità maschili o femminili.
Dei nuovi rapporti sociali tra i sessi stanno emergendo. Perché le violenze sessuali rimangono?
Queste violenze servono anche per riaffermare i rapporti di forza tra i sessi. Ci sono per perpetuare il sistema patriarcale e per rispondere alle trasgressioni delle norme indotte da questo sistema. Sono delle violenze che hanno come funzione di richiamare le donne all’ordine quando adottano delle pratiche che non corrispondono a ciò che ci si aspetta da loro nello spazio pubblico.
Gli autori di aggressioni sessuali agiscono in modo diverso oggi?
Ci sono dei nuovi dispositivi. Internet fa nascere delle nuove forme di molestia. Un esempio in questo senso è la Ligue du LOL (una trentina di membri di un gruppo Facebook accusati di aver fatto molestie online/cybermolestie): il caso che coinvolge dei giornalisti francesi piuttosto di sinistra – Libération, Les Inrockuptibles, Slate tra gli altri – che utilizzavano internet e i social media per umiliare delle donne e delle persone omosessuali che frequentavano così da riaffermare il proprio potere. Ma questo caso illustra anche un’evoluzione riguardo la tolleranza di queste pratiche. Perché sono state fatte delle indagini e delle persone sono state licenziate.
Il caso Weinstein ha contribuito a questi cambiamenti?
Si, Weinstein, #MeToo e tutto il movimento che ne è scaturito. A Losanna le studentesse in medicina hanno realizzato una campagna di affissioni per illustrare le osservazioni che subiscono ancora oggi, come “Se non sei ancora incinta posso rimediare”. Il caso Weinstein ha liberato la parola. Ha anche mostrato che queste violenze di genere legate all’affermazione della supremazia maschile sono diffuse in tutte le classi sociali. Dopo Weinstein e #MeToo non si può più pensare che le aggressioni sessuali siano un fenomeno individuale causato dall’assenza di educazione, alla povertà o all’alcolismo. Questi casi ci hanno rammentato a che punto le violenze siano sistematiche e strutturali.
Come si spiega la persistenza di pregiudizi sessisti all’origine delle aggressioni sessuali anche oggi che ne conosciamo benissimo gli effetti dannosi?
Questo è dovuto al doppio standard nella rappresentazione della sessualità. L’idea secondo cui la sessualità maschile è attiva, debordante e che non può essere controllata continua a resistere. Per contro si ha molta difficoltà nel pensare al desiderio femminile. Una giovane donna che ha una vita sessuale attiva è facilmente considerata una ragazza facile o una puttana. Queste rappresentazioni resistono. In molte serie tv, per esempio, una ragazza con una vita sessuale attiva avrà dei problemi o sarà rappresentata come una persona instabile. Il dovere di controllare la sessualità resta molto forte e strutturante per le donne. Va però detto che la tolleranza nei confronti dello stupro è cambiata. Prima lo stupro era considerato un attacco alla famiglia e all’onore, oggi è invece considerato un attacco contro la persona.
Le donne contribuiscono anch’esse a perpetuare gli stereotipi sessisti che alimentano le violenze?
Sì. Le donne contribuiscono come tutti. Continuiamo ad educare le bambine a una determinata rappresentazione del corpo femminile, che deve essere desiderabile ed attraente. Ed è molto difficile disfarsi di questo tipo di rappresentazioni che partecipano alla creazione del proprio “io” profondo e della propria autostima. Per questo motivo gli strumenti di prevenzione della violenza all’interno della coppia o per sensibilizzare sul rispetto dell’integrità fisica e della volontà dell’altro sono estremamente importanti, in particolare a scuola.
Come si spiega che la maggior parte delle donne rinuncia a sporgere denuncia?
Le donne non denunciano perché hanno troppo da perdere. C’è un alto livello di disapprovazione sociale dello stupro e il rifiuto di dichiararsi vittima per non ledere alla propria autostima. Inoltre le donne sanno che è difficile vincere nel caso di un crimine così privato. Come dimostrare che non eravate consenzienti se l’altra parte afferma che eravate d’accordo di avere un rapporto sessuale? In mancanza di prove è estremamente difficile far riconoscere uno stupro in tribunale. Dopo un’aggressione sessuale le donne hanno un forte senso di colpa. Si dicono che è colpa loro, che non hanno preso le precauzioni necessarie e si sono quindi esposte al rischio di una violenza.
E perché i casi di stupro arrivano così raramente a una sentenza?
Il mito dello stupratore sconosciuto dalla vittima e che agisce in modo brutale, nello spazio pubblico, ha un ruolo molto importante. E questo mito è molto vivo anche nelle menti delle professioni che trattano le violenze sessuali nel sistema penale: poliziotti, avvocati, giudici. E questo ha un’incidenza sul modo in cui il diritto sarà applicato. Una persona che è stata aggredita in modo violento nello spazio pubblico avrà molte possibilità che il suo aggressore sia riconosciuto colpevole – se viene individuato. Ma in più del cinquanta percento dei casi le donne conoscono il proprio aggressore. O perché si tratta del loro partner o perché è qualcuno con cui avevano già flirtato. E in questi casi la denuncia ha pochissime chance di finire in condanna.
E la definizione dello stupro rimane lacunosa…
Sì, si osserva una differenza tra la definizione penale dello stupro e la definizione sociale delle violenze sessuali, che è molto più ampia e integra una serie di aggressioni che la giustizia penale non coglie. Ad esempio il codice penale svizzero definisce come stupro unicamente le penetrazioni vaginali. Agli occhi della giustizia solo le donne possono essere stuprate, e non gli uomini. La giustizia dà inoltre grande importanza al fatto che l’autore deve aver capito chiaramente che la vittima non era consenziente, fatto che favorisce un alto tasso di assoluzione nei casi in cui le persone coinvolte si conoscevano prima dei fatti.
Il caso Weinstein ha rappresentato un elemento scatenante nella lotta contro le aggressioni sessuali. Al contrario Trump o Bolsonaro peggiorano indubbiamente la situazione….
Si pensava che con il suo “grab the pussy” Trump non sarebbe mai stato eletto. Ma le donne bianche hanno votato per lui. Hanno uno statuto di privilegiate e di complici in questo sistema patriarcale che sostengono perché ne traggono beneficio. L’elezione di questi due uomini rappresenta una reazione. Ci sono molte resistenze al movimento femminista. Le persone hanno paura di perdere i propri riferimenti tradizionali, ragione per cui hanno votato per un Trump o un Bolsonaro. Noi, ricercatrici femministe, abbiamo subito degli attacchi dopo le loro elezioni. Non so se sia l’effetto Trump o Bolsonaro, ma coincide con il loro arrivo al potere.
Rendendo più accessibile immagini pornografiche intrise di violenza, internet alimenta le aggressioni?
Indubbiamente oggi le immagini pornografiche sono più facilmente accessibili. Ma la sessualità violenta è sempre esistita, indipendentemente dall’industria del porno. Lo conferma, ad esempio, la storia delle adolescenti collocate in istituto e sterilizzate perché trasgredivano le norme di buona condotta femminile. O le violenze sessuali sui bambini nelle istituzioni cattoliche. Questi atti costituiscono realmente una sessualità molto violenta. Per contro non esiste un legame di causa-effetto tra la pornografia diffusa in internet e le violenze sessuali.
Si ha l’impressione che la de-valorizzazione del femminile rimane molto presente nei media, nelle serie tv, il cinema o la pubblicità.
Non è così semplice. Nelle serie tv ci sono sempre più donne forti, lesbiche o libere. La loro rappresentazione è diventata ambivalente. Si osserva da una parte l’affermazione di identità femminili che non rientrano nella tradizione e dall’altra una de-valorizzazione del femminile che perdura di fronte ad un’eterosessualità dominante. Le donne atipiche sono un’eccezione, non sono scontate. E spesso si fanno richiamare all’ordine prestabilito.
Marylène Lieber è sociologa, professoressa di studi di genere all’Università di Ginevra