La limitazione delle libertà e la repressione delle voci dissidenti da parte delle autorità cinesi sono una realtà nota. Non si contano i difensori dei diritti umani condannati in base a accuse vaghe come la “sovversione del potere dello Stato”, mentre continua ad allungarsi la lista degli attivisti per i diritti umani detenuti per lunghi periodi in luoghi di detenzione non ufficiali, a volte segreti, dove sono esposti al rischio di tortura.
Tutto questo mentre il paese si riempie di telecamere per la videosorveglianza – ne sono state installate circa duecento milioni in cinque anni – e si diffondono i sistemi di riconoscimento facciale. Contemporaneamente, sostenuta dal lavoro di oltre 4 milioni di “guardiani del web”, cresce la sorveglianza su internet.
Il “grande fratello” è una realtà per milioni di cinesi. Controllati nei loro più semplici gesti, i cinesi devono sottostare al sistema del “credito sociale” che permette di accumulare bonus e malus in base al proprio comportamento. Il meccanismo che stabilisce se un cittadino sia o meno affidabile ha delle conseguenze concrete sulla vita delle persone: influisce ad esempio sulla possibilità di acquistare biglietti del treno o del cinema, di iscrivere i figli in una determinata scuola o accedere a un posto di lavoro o a un alloggio. La spinta ad avere comportamenti socialmente accettabili è molto concreta, e arriva a volte fino alla diffusione di vere e proprie “black list” dei cattivi cittadini.
Un sistema di controllo e sorveglianza che in mano alle autorità di Pechino è uno strumento essenziale agli sforzi in atto per mettere a tacere i movimenti indipendentisti in Tibet e nello Xinjiang, dove la priorità è la “sinizzazione” delle popolazioni autoctone, la cui differenza culturale, religiosa e linguistica il regime mira a cancellare.
Chi sono gli Uiguri?
Gli Uiguri – “gli alleati”, “coloro che sono uniti” - sono un’etnia turcofona di religione musulmana che vive nella regione autonoma del Xinjiang, nel nord ovest della Cina. La regione, chiamata Turkestan Orientale dagli uiguri, è una delle più vaste della Cina, e comprende circa un sesto dell’intero territorio cinese ed è ricchissima in uranio e petrolio (si stimano circa 20 miliardi di barili di oro nero). Gli Uiguri rappresentano lo 0,6% della popolazione cinese totale: circa 11 milioni di persone. Nello Xianjiang sono maggioritari (46% della popolazione), mentre il resto della popolazione è composto da cinesi di etnia Han (39%) e kazaki, tatari e kirghizi.
Il governo cinese considera gli uiguri pericolosi: la regione dello Xianjiang è diventata uno dei luoghi più sorvegliati al mondo, un vero e proprio carcere a cielo aperto dove controlli di identità continui scandiscono il quotidiano dei cittadini.
Negli anni ’90 disordini indipendentisti sono stati seguiti da un giro di vite contro gli Uiguri, intensificatosi dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. La repressione è ancora aumentata dopo i disordini del 2014, intensificandosi ulteriormente dal 2017 con l’introduzione del Regolamento sulla deradicalizzazione. Portare barbe considerate “anormali”, indossare il velo, pregare regolarmente, rispettare il digiuno o non bere alcolici sono comportamenti che possono essere considerati “estremisti”.
Dal 2017 sono pure emerse le prime notizie di campi di detenzione – o campi di “trasformazione attraverso l’educazione” secondo le autorità cinese - nei quali gli uiguri subiscono un processo di rieducazione volto a cancellare il loro senso di appartenenze all’etnia uigura inculcando la lingua e la cultura cinesi. Si stima che un milione di persone – uiguri e persone di altre minoranze etniche musulmane – siano detenuti in questi campi. Banali contatti con parenti all’estero tramite i social media possono sfociare nella detenzione: per questo la regione è sempre più isolata dal mondo esterno e centinaia di uiguri all’estero rimangono a chiedersi dove siano finiti parenti ed amici.
Nel novembre 2019 sono stati pubblicati i China Cables: una fuga di notizia di 400 pagine di documenti governativi che descrivono le politiche restrittive applicate da Pechino contro gli uiguri. Pechino ha definito il tutto come Fake news diffuse per denigrare la Cina.
https://www.amnesty.ch/it/news/2018/cina-un-milione-di-persone-nei-campi-di-201crieducazione201d
https://www.arte.tv/it/videos/087898-000-A/cina-uiguri-un-popolo-in-pericolo/
Cosa fa Amnesty?
Da diversi anni il Gruppo Ticino di Amnesty International segue il caso del professor Ilham Tohti, economista e attivista per il dialogo inter-etnico tra uiguri e cinesi han.
Nel 2014 a causa del suo impegno per il dialogo tra uiguri e cinesi han è stato condannato all’ergastolo, con l’accusa di “separatismo”. Dal 2017 la famiglia non ha notizie di lui.
Nel 2019 Ilham Tohti è stato insignito del Premio Sakharov del Parlamento Europeo e del premio Vaclav Havel per i diritti umani del Consiglio d’Europa.
L’ospite
Gabriele Battaglia vive in Cina da 9 anni, è il corrispondente da Pechino della RSI e di Radio Popolare, oltre a collaborare con Internazionale. In precedenza ha lavorato per PeaceReporter e per E-il mensile di Emergency, nonché per l'agenzia China-Files. Ha pubblicato “Buonanotte signor Mao. Storie dall’estremo Oriente” (2017), l'e-book "Fucili contro Burma" (2014) ed è autore del documentario "Inside Beijing" (2012).
Ha curato due episodi di Laser, RSI Rete 2, dedicati ai Uiguri:
https://www.rsi.ch/play/radio/laser/audio/storia-di-una-famiglia-uigura-1-2?id=11764238
https://www.rsi.ch/play/radio/laser/audio/storia-di-una-famiglia-uigura-2-2?id=11764241
Modera l’incontro il giornalista RSI Nicola Lüönd.
Appuntamento martedì 11 febbraio 2020 allo Spazio 1929 (Via Ciseri 3, Lugano), dalle 19:00.
L’incontro sarà seguito da un aperitivo offerto.