Da ormai più di due anni, la comunità internazionale assiste a braccia conserte al dramma che si svolge in Siria. Non agendo quando ciò avrebbe potuto avere un impatto, ha lasciato che il conflitto degenerasse. La conferenza internazionale che si terrà a Ginevra in giugno dovrà faticare non poco per trovare un’uscita da questa crisi.
La passività del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è colpevole. Il conflitto si è iniziato a Deraa, con la repressione di una manifestazione pacifica organizzata per protestare contro l’arresto arbitrario di minori che avevano scritto sui muri della città con lo spray slogan ostili al governo. Le forze di sicurezza siriane hanno aperto il fuoco contro persone inermi e in pochi mesi la Siria intera si è “incendiata”. Due anni e 70.000 morti dopo (stime Onu), le forze governative continuano a bombardare civili ricorrendo ad armi e pratiche internazionalmente vietate, come le bombe a grappolo e i bombardamenti indiscriminati. I detenuti sono sistematicamente sottoposti a torture, vittime di sparizioni forzate o di esecuzioni extragiudiziarie.
Dal canto loro, i gruppi armati dell’opposizione ricorrono sempre più spesso a sequestri di ostaggi, alla tortura e a esecuzioni sommarie di soldati e civili catturati. Mercenari sono arruolati per combattere al loro fianco, alcuni paesi forniscono armi, mentre la Russia prosegue nella fornitura di equipaggiamenti militari al governo di Bashar el Assad.
Quanti morti civili bisognerà ancora piangere prima che il Consiglio di Sicurezza adisca la Corte penale internazionale e i responsabili di crimini intollerabili siano tradotti in giustizia? Quanti morti ancora per porre fine alla fornitura di armi? Quanti altri milioni di rifugiati fino a che Russia e Cina voltino le spalle al loro alleato?
Questi paesi invocano sistematicamente la «sovranità», ossia la non ingerenza negli affari interni di uno Stato, per giustificare il loro veto a qualsivoglia risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Ma è possibile invocare la sovranità allorché un governo massacra la popolazione, quando un paese s’insabbia in un conflitto mortale per tante persone e i minori vengono torturati o reclutati come soldati?
Il conflitto siriano non è un affare interno: si tratta di una crisi internazionale, sol che si consideri che più di un milione e mezzo di persone hanno varcato le frontiere per rifugiarsi in Turchia, Libano e Giordania. Quand’anche si chiudessero gli occhi su quanto accade all’interno delle frontiere siriane, la crisi umanitaria di cui i rifugiati siriani sono loro malgrado protagonisti impone quanto meno la ferma condanna delle violazioni commesse dai belligeranti. La passività in nome della sovranità non è ammissibile.