di Manon Schick, direttrice della Sezione svizzera di Amnesty International
Non sono credente e mi capita di stupirmi vedendo persone che ostentano la propria fede, indossando una croce o mettendo un adesivo sull’auto. Non sono musulmana e fatico a capire cosa spinga le donne praticanti a coprirsi i capelli. Capisco ancora meno come si possa nascondersi dalla testa ai piedi, sotto un burqa o un niqab. Ma ciò che mi infastidisce deve essere vietato?
Domenica prossima in Ticino si voterà sull’iniziativa cantonale che vuole vietare la dissimulazione del viso nei luoghi pubblici. L’obiettivo è chiaro: non si tratta certo di vietare le maschere di carnevale ma il velo integrale indossato da alcune donne musulmane. Anche il contro progetto proposto da Consiglio di Stato e Gran Consiglio, pur avvalendosi di motivazioni fondate sulla pubblica sicurezza, raggiungerebbe lo stesso obiettivo.
Nessuno dovrebbe essere costretto – dallo Stato a da privati - a indossare un capo d’abbigliamento. Si tratta di una violazione della libertà individuale. Ma vietare a qualcuno di mostrare pubblicamente la propria appartenenza a una religione rappresenta una limitazione della libertà. I diritti umani garantiscono a tutti, uomini e donne, la possibilità di decidere se indossare o meno simboli religiosi.
Gli iniziativisti ticinesi sostengono di voler liberare le donne musulmane. È vero, l’interpretazione del Corano che impone alle donne di indossare il velo in pubblico corrisponde a un modello di società patriarcale nel quale la donna è sottomessa all’uomo. Ma sostenere che tutte le donne che indossano il velo integrale sono oppresse è sbagliato. Come è sbagliato affermare che vietare il burqa contribuirebbe alla loro liberazione. I meccanismi di discriminazione nei confronti delle donne sono ben più complessi, nella religione musulmana come in tutte le altre.
Vietare il burqa, al contrario, costringerebbe le donne tra le mura domestiche per paura di venir multate. Le donne che portano il velo integrale sarebbero ancor più isolate e stigmatizzate. Dovremmo dare a queste donne la possibilità di esprimersi, parlare dei propri diritti e partecipare alla vita pubblica, non isolarle ancor di più.
Ma di quante donne stiamo parlando ? Il Ticino vuole veramente multare le turiste arabe di passaggio a Lugano? O la legge si applicherebbe solo alle donne residenti nel cantone? È comunque probabile che questa modifica della Costituzione ticinese non sia convalidata dal Parlamento federale. Lo scorso anno, le Camere federali avevano infatti respinto un’iniziativa del canton Argovia che chiedeva di vietare i capi di abbigliamento che nascondono gran parte del viso.
Quel che è certo è che la Svizzera deve garantire il rispetto dell’uguaglianza tra donne e uomini. È però peccato che ci si preoccupi dei diritti delle donne solo per denunciare una manciata di loro che si coprono il capo con un pezzo di stoffa, mentre le vittime di violenza domestica o le migranti sfruttate, decisamente più numerose, raramente sono difese da iniziative per la protezione dei loro diritti.
pubblicato su LaRegione, sabato 14 settembre 2013