L’Italia deve rivedere le politiche che contribuiscono allo sfruttamento dei migranti e che violano il loro diritto a condizioni di lavoro giuste. Lo ha dichiarato oggi Amnesty International, pubblicando un rapporto sullo sfruttamento dei migranti nel settore agricolo. Il documento si concentra su gravi forme di sfruttamento, nelle province di Latina e Caserta, di braccianti, spesso stagionali o temporanei, provenienti da paesi dell’Africa subsahariana, dell’Africa del Nord e dell’Asia. Il rapporto sottolinea comunque che tale sfruttamento è diffuso in tutto il paese.
“Nell’ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l’ansia dell’opinione pubblica sostenendo che la sicurezza del paese è minacciata da un’incontrollabile immigrazione ‘clandestina’, giustificando in questo modo l’adozione di rigide misure che hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede dello sfruttamento” – ha dichiarato Francesca Pizzutelli, ricercatrice del Segretariato Internazionale di Amnesty International e autrice del rapporto Exploited labour: Migrant workers in Italy’s agricultural sector.
“Il controllo dell’immigrazione può costituire un interesse legittimo di ogni Stato, ma non dev’essere portato avanti a danno dei diritti umani di coloro che si trovano nel suo territorio, lavoratori migranti inclusi” – ha sottolineato la ricercatrice.
“Spesso, l’esito di tutto questo per i lavoratori migranti consiste in paghe ben al di sotto del salario concordato tra le parti sociali, riduzioni arbitrarie dei compensi, ritardato o mancato pagamento, lunghi orari di lavoro. Si tratta di un problema diffuso e sistematico” – ha aggiunto Francesca Pizzutelli.
Le attuali politiche italiane intendono controllare il numero dei migranti stabilendo delle quote d’ingresso per tipi diversi di lavoratori e rilasciando permessi sulla base di un contratto scritto. Queste quote, tuttavia, sono molto inferiori all’effettivo fabbisogno. Oltre ad essere inefficace e a prestarsi ad abusi, il sistema vigente incrementa il rischio di sfruttamento dei migranti.
I datori di lavoro preferiscono assumere lavoratori già presenti in Italia a prescindere dalle quote d’ingresso fissate dal governo. Alcuni lavoratori possono avere il permesso già scaduto mentre altri possono aver ottenuto il visto d’ingresso attraverso intermediari, senza poi riuscire a ottenere il permesso di soggiorno. In tal modo, molti lavoratori migranti finiscono per trovarsi senza documenti che ne attestino la presenza regolare in Italia e rischiano l’espulsione.
La legislazione italiana, inoltre, ha introdotto il reato di “ingresso e soggiorno illegale”, stigmatizzando così i lavoratori migranti irregolari, alimentando la xenofobia e la discriminazione nei loro confronti. Questa normativa pone i lavoratori migranti nella condizione di non adire la giustizia per i casi in cui i salari siano inferiori a quanto concordato, per il mancato pagamento del dovuto o per orari di lavoro eccessivamente lunghi. Quanti denunciano lo sfruttamento rischiano di essere arrestati ed espulsi a causa del loro status irregolare.
“Le autorità italiane dovrebbero modificare le politiche in materia d’immigrazione concentrandosi prima e soprattutto sui diritti dei lavoratori migranti, indipendentemente dal loro status migratorio, garantendo loro un efficace accesso alla giustizia, istituendo meccanismi sicuri e accessibili per i lavoratori migranti che intendono presentare esposti e denunce contro i datori di lavoro, senza timore di essere arrestati ed espulsi” – ha concluso Francesca Pizzutelli.
Alcune cifre - All’inizio del 2O11 la presenza di cittadini stranieri in Italia era stimata intorno ai 5,4 milioni, circa l’8,9 per cento della popolazione. Circa 4,9 milioni di cittadini stranieri hanno documenti in regola che li autorizzano a stare in Italia. Si stima che vi sia circa mezzo milione di lavoratori migranti privi di documenti validi, ossia migranti irregolari.
Lo sfruttamento del lavoro dei migranti nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia in parecchie zone dell’Italia meridionale è diffuso. A parità di lavoro, essi ricevono paghe inferiori di circa il 40 per cento rispetto al salario italiano minimo concordato tra le parti sociali. Spesso, poi, lavorano un maggior numero di ore. Le vittime dello sfruttamento del lavoro sono migranti africani e asiatici e, in alcuni casi, cittadini dell’Unione europea (soprattutto bulgari e rumeni) e cittadini di paesi extracomunitari dell’Europa orientale (tra cui gli albanesi).
Testimonianze scelte - Lavoratori migranti indiani e africani, impiegati nelle zone di Latina e Caserta, hanno parlato con Amnesty International in condizioni di anonimato:
“I primi quattro anni dopo essere arrivato in Italia ho lavorato in una fabbrica che confeziona cipolle e patate per l’esportazione. Mi pagavano 8OO euro al mese per 12-14 ore di lavoro al giorno. Il datore di lavoro mi diceva sempre che se avessi lavorato duro e bene, mi avrebbe fatto avere i documenti, ma non l’ha mai fatto.” (“Hari”)
“Lavoro 9-1O ore al giorno dal lunedì al sabato, poi cinque ore la domenica mattina, per tre euro l’ora. Il datore di lavoro mi dovrebbe pagare 6OO-7OO euro al mese; io contavo di mandare 5OO euro al mese a mio padre in India. Negli ultimi sette mesi, però, il datore di lavoro non mi ha pagato il salario intero. Mi dà solo 1OO euro al mese per le spese. Non posso andare alla polizia perché non ho documenti: mi prenderebbero le impronte e dovrei lasciare l’Italia.” (“Sunny”)
“Quando non hai i documenti ti danno solo ‘lavoro nero’, che è mal pagato. Prendiamo dai 25 ai 3O euro al giorno per otto o nove ore di lavoro [2,75-3,75 euro l’ora]. Ma quando ci facciamo male non prendiamo niente.” (“Ismael”)
“Quando il datore di lavoro non paga, che cosa puoi fare per avere il denaro? Senza documenti, come puoi andare alla polizia? Senza documenti, sei espulso. Ma non hai fatto niente di male…”. (“Jean-Baptiste”)