La mancanza d’azione a livello globale in favore dei diritti umani sta rendendo il mondo sempre più pericoloso per rifugiati e migranti. È questo il messaggio diffuso da Amnesty International in occasione del lancio del suo Rapporto annuale 2013, che descrive la situazione dei diritti umani in 159 paesi e territori, nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2012.
I diritti di milioni di persone in fuga da conflitti e persecuzioni, o in cerca di lavoro e migliori condizioni di vita per se stesse e le loro famiglie, sono stati violati da governi che hanno mostrato di essere interessati più alla protezione delle frontiere nazionali che a quella dei loro cittadini o di chi quelle frontiere oltrepassava chiedendo un riparo o migliori opportunità.
“L’assenza di soluzioni efficaci per fermare i conflitti sta creando una sottoclasse globale – ha dichiarato Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International –. I diritti di chi fugge da quei conflitti non vengono protetti. Troppi governi stanno violando i diritti umani in nome del controllo dell’immigrazione, agendo ben al di là delle legittime misure di controllo alle frontiere”.
Tali misure non colpiscono soltanto le persone in fuga dai conflitti. Milioni di migranti sono trascinati in un ciclo di sfruttamento, lavori forzati e abusi sessuali dalle politiche contrarie all’immigrazione. Questa situazione chiama in larga parte in causa la retorica populista, secondo cui rifugiati e migranti sono responsabili delle difficoltà in cui s’imbattono i governi nazionali.
Nel 2012, una lunga serie di emergenze dei diritti umani ha spinto alla fuga numerosissime persone, dalla Corea del Nord al Mali, dalla Repubblica Democratica del Congo al Sudan, costrette a cercare riparo all’interno dei loro stati od oltrefrontiera.
Siria – Un altro anno è andato perso per la popolazione della Siria, dove poco o nulla è cambiato se non il sempre più alto numero delle vite perse o distrutte dal conflitto. Più di 1,5 milioni di siriani sono stati costretti a fuggire dal paese; altri 4,25 sono sfollati all'interno dei confini. Il mondo è stato a guardare, mentre le forze armate e di sicurezza di Damasco continuavano a compiere attacchi indiscriminati e mirati contro i civili e a sottoporre a sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni extragiudiziarie sospetti oppositori; a loro volta, i gruppi armati proseguivano a catturare ostaggi e a compiere esecuzioni sommarie e torture, seppur su scala minore.
La scusa che i diritti umani sono “una questione interna” è stata usata per bloccare ogni azione internazionale sulle emergenze dei diritti umani, come quella siriana. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, cui è affidata la sicurezza globale e che è legittimato a esercitare la propria leadership, ha ancora una volta mostrato di non saper svolgere un’azione politica unitaria e concertata.
“Il rispetto per la sovranità degli stati non può essere usato come scusa per non agire. Il Consiglio di sicurezza deve adoperarsi per fermare gli abusi che distruggono le vite umane e costringono le persone a lasciare le loro case. Deve farlo, rigettando la teoria, ormai logora e moralmente corrotta, che gli omicidi di massa, la tortura e le morti per fame non devono riguardare nessun altro stato”.
Rifugiati e migranti – Chi ha cercato, nel corso del 2012, di fuggire da conflitti e persecuzioni
attraversando i confini internazionali ha trovato di fronte a sé incredibili ostacoli. È stato più difficile per i rifugiati varcare le frontiere che non per le armi alimentare la violenza nei luoghi da cui questi cercavano di allontanarsi. Tuttavia, l’adozione nell’aprile 2013 di un Trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi ha fatto nascere la speranza che le forniture suscettibili di essere usate per commettere atrocità saranno fermate.
I rifugiati che sono riusciti a raggiungere altri paesi per chiedere asilo si sono spesso trovati nella stessa barca – non solo metaforicamente – coi migranti che lasciavano il loro paese in cerca di una vita migliore per se stessi e le loro famiglie. Molti degli uni e degli altri ora sono costretti a vivere ai margini della società, penalizzati da leggi e prassi inadeguate, presi di mira da quella forma di retorica nazionalista e populista che alimenta la xenofobia e accresce il rischio di atti di violenza nei loro confronti.
L’Unione europea ha posto in essere misure di controllo alle frontiere che mettono a rischio la vita dei migranti e dei richiedenti asilo e non garantiscono la sicurezza delle persone che fuggono da conflitti e persecuzioni. In varie parti del mondo, migranti e richiedenti asilo finiscono regolarmente nei centri di detenzione e persino in
container per la navigazione o gabbie metalliche.
I diritti di un’ampia parte dei 214 milioni di migranti non sono stati protetti né dai loro governi né dagli stati in cui si sono trasferiti. Milioni di loro hanno lavorato in condizioni che possono essere definite di lavoro forzato o assimilabili alla schiavitù, poiché i governi li hanno trattati da criminali e le grandi aziende si sono mostrate interessate più ai profitti che non ai diritti dei lavoratori. I migranti privi di documenti sono stati maggiormente a rischio di sfruttamento e di violazioni dei diritti umani.
Coloro che vivono fuori dai loro paesi, senza uno status e senza il minimo benessere, sono le persone più vulnerabili del mondo e sono spesso condannate a una vita disperata nell’ombra. Un futuro più giusto è possibile se i governi rispetteranno i diritti umani di tutti a prescindere dalla loro nazionalità. La protezione dei diritti umani deve riguardare tutti gli esseri umani, a prescindere da dove si trovino.
La situazione in Svizzera – Il rapporto sottolinea le nuove disposizioni restrittive della Legge sull'asilo adottate nel dicembre scorso dal parlamento.
Un punto positivo riguarda invece l'accettazione, da parte della Commissione nazionale di prevenzione della tortura (CNPT), di assumere il monitoraggio indipendente dell'esecuzione dei rimpatri forzati. Misure sono state assunte per limitare il ricorso a metodi coercitivi in occasione del trasporto all'aeroporto, prima e durante l'imbarco, e durante il volo. Il rapporto non tralascia peraltro di considerare criticamente le misure restrittive cui erano assoggettate le persone trattenute in base alla normativa sull'immigrazione.
Ulteriori sviluppi sui diritti umani messi in luce nel Rapporto annuale 2013
Pena di morte – A livello globale, la pena di morte ha continuato la sua ritirata nonostante alcuni passi indietro, come le prime esecuzioni in Gambia, dopo quasi 30 anni, e la prima impiccagione di una donna in Giappone dopo 15 anni.
Libertà d'espressione e tortura – Nel corso del 2012, Amnesty International ha documentato specifiche restrizioni alla libertà d’espressione in almeno 101 paesi, torture e maltrattamenti in almeno 112 paesi.
Violenza di genere – Metà degli abitanti del pianeta è rimasta costituita da “cittadini di seconda classe” per quanto riguarda la realizzazione dei loro diritti, poiché molti paesi non hanno agito nei loro confronti violenza basata sul genere. Militari e gruppi armati hanno commesso stupri in Ciad, Mali e Repubblica Democratica del Congo; i talebani in Afghanistan e Pakistan hanno ucciso donne e ragazze; in paesi quali Cile, El Salvador, Nicaragua e Repubblica Dominicana, a donne e ragazze rimaste incinta a seguito di stupro, o la cui gravidanza poneva a rischio la loro salute o la loro vita, è stato negato l’accesso a servizi sicuri di aborto.
Regioni:
Africa – In tutto il continente conflitti, povertà e violazioni dei diritti umani da parte di forze di sicurezza e gruppi armati hanno messo in evidenza la debolezza degli strumenti regionali e internazionali per la difesa dei
diritti umani.
Americhe – Procedimenti giudiziari in Argentina, Brasile, Guatemala e Uruguay hanno fatto fare importanti passi avanti alla giustizia nei confronti delle violazioni del passato. Il sistema interamericano di protezione dei diritti umani è stato criticato da diversi governi.
Asia e Pacifico – La libertà d’espressione è stata repressa in Cambogia, India, Maldive e Sri Lanka e i conflitti armati hanno danneggiato la vita di decine di migliaia di persone in Afghanistan, Myanmar, Pakistan e Thailandia. Il governo di Myanmar ha rilasciato centinaia di prigionieri politici ma altrettanti rimangono ancora in carcere.
Europa e Asia Centrale – I governi si sono potuti ancora sottrarre alle responsabilità per i crimini
commessi nel continente europeo nel contesto del programma di rendition degli Usa. Nei Balcani, le possibilità di ottenere giustizia per i crimini commessi nelle guerre degli anni Novanta si sono allontanate. Le elezioni in Georgia sono state un raro esempio di transizione democratica in un’area, quella delle ex repubbliche sovietiche, in cui regimi autoritari hanno mantenuto la loro presa sul potere.
Medio Oriente e Africa del Nord – Nei paesi in cui sono terminati regimi autocratici, si è assistito tanto a un aumento della libertà d’informazione e a crescenti opportunità per la società civile, quanto a passi indietro, costituiti da attacchi alla libertà d’espressione per motivi legati alla morale e alla religione. In tutta la regione, attivisti politici e per i diritti umani hanno continuato a subire la repressione, tra cui arresti e torture.
Nel mese di novembre il conflitto d'Israele e Gaza ha conosciuto una nuova escalation.