Sud Africa Morte di Nelson Mandela: lascia un grande vuoto

Nelson Mandela, morto il 5 dicembre 2013 a 95 anni, è stato un visionario, un uomo che ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta per la protezione e la promozione dei diritti umani. “Impossibile ...

Nelson Mandela, morto il 5 dicembre 2013 a 95 anni, è stato un visionario, un uomo che ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta per la protezione e la promozione dei diritti umani. “Impossibile immaginare un mondo senza Mandela. La sua morte lascia un grande vuoto, non solo in Sudafrica ma nel mondo intero”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

“Nelson Mandela ha sempre rifiutato di accettare l’ingiustizia. Con il suo coraggio ha contribuito a cambiare il mondo. Ha lottato con incrollabile determinazione per eliminare le disuguaglianze razziali durante l’apartheid, e ha poi avuto un ruolo essenziale nella lotta contro l’HIV/AIDS in Sudafrica e nel mondo. Il suo nome resterà per sempre inciso nella storia del continente africano e del mondo intero.”

La vita di Nelson Mandela, segnata dalla lotta politica e dal senso del sacrificio, sarà sempre d’esempio per milioni di persone nel mondo. “Era un uomo assolutamente straordinario”, racconta Louis Blom-Cooper, tra i fondatori di Amnesty International nei primi anni ’60 e osservatore nel corso del lungo processo contro Mandela e altri dirigenti della lotta anti-apartheid, accusati di tradimento prima di essere assolti nel marzo del 1961. “Quando si era in sua presenza, quando parlava, si capiva subito che era una persona fuori dal comune, e che un giorno sarebbe diventata un cittadino di rilievo del Sudafrica.”

Negli anni che hanno seguito la sua presidenza, la determinazione e la schiettezza dell’impegno di Nelson Mandela a sostegno dei milioni di persone che vivono con l’HIV, in particolare nell’Africa subsahariana, hanno dimostrato come la sua passione per la difesa della dignità umana, del diritto all’uguaglianza e all’accesso alla giustizia non ha perso vigore con il trascorrere del tempo.

Nel novembre 2006 Amnesty International ha attribuito a Mandela il suo premio “Ambasciatore della coscienza”, un riconoscimento per gli anni di assiduo lavoro nel denunciare le violazioni dei diritti umani commesse in Sudafrica e nel mondo intero. Ricevendo il premio Nelson Mandela ha detto: “Come Amnesty International da anni mi batto per difendere la giustizia e i diritti umani. Ora mi sono ritirato dalla vita pubblica, ma fino a quando nel mondo continueranno ad esserci ingiustizia e disuguaglianze nessuno di noi potrà permettersi il riposo. Dobbiamo diventare ancora più forti. ”

Nelson Mandela e Amnesty International

Durante la cerimonia di consegna del premio Ambasciatore della coscienza, Nelson Mandela ha gentilmente reso omaggio al contributo reso da Amnesty International alla lotta in favore dei diritti umani. Questo nonostante la controversa decisione presa dall’allora giovane organizzazione di non adottarlo come “prigioniero d’opinione” (ovvero una persona incarcerata solo per aver espresso pacificamente le proprie convinzioni). Una decisione presa quando, nel 1964, Mandela fu condannato al carcere a vita in seguito al processo di Rivonia, che lo vedeva accusato di attività sovversive legate alla decisione dell’African National Congress (ANC) di orientarsi verso la lotta armata contro il regime dell’apartheid.

I membri di Amnesty International non potevano quindi mobilitarsi per la sua liberazione incondizionata come prigioniero non violento, cosa già avvenuta in seguito a una precedente condanna a cinque anni di detenzione per aver lasciato il paese senza autorizzazione e aver “incitato” allo sciopero.

La decisione fu presa in seguito a un acceso dibattito all’interno di Amnesty International, che il segretario generale dell’epoca aveva così commentato: “Quando un governo dimostra un tale disprezzo nei confronti dello stato diritto e rimane insensibile alle pressioni pacifiche, le persone private dei diritti enunciati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani possono ritenere che il ricorso alla violenza sia l’unica via possibile verso la libertà. Queste persone non possono essere adottate come prigionieri d’opinione secondo la definizione stabilita da Amnesty International ma possono, come spesso avviene, essere al centro della nostra azione per motivi umanitari.”