Per la protezione delle proprie frontiere esterne, l’Unione europea spende miliardi di euro. Un esempio è la recinzione di filo spinato lunga una trentina di km al confine tra la Bulgaria e la Turchia, sorvegliata anche da guardie di confine svizzere nell’ambito di Frontex. La stessa consigliera federale Simonetta Sommaruga in visita di lavoro in Bulgaria ha definito la recinzione “desolante”. Un nuovo rapporto di Amnesty International documenta come questa politica rappresenti un pericolo per la vita dei migranti.
Il rapporto The human cost of Fortress Europe: Human rights violations against migrants and refugees at Europe’s borders dimostra che le politiche migratorie dell’Ue e le pratiche di controllo alle frontiere impediscono ai rifugiati l’accesso alla procedura d’asilo, mettendo così in pericolo le loro vite.
«L’efficacia delle misure europee per arginare il flusso di immigrati irregolari e rifugiati è discutibile. Nel frattempo, il costo in vite umane è incalcolabile e viene per lo più pagato dalle persone più vulnerabili», ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
Controlli alle frontiere
Il costo della politica dell’Ue in materia di immigrazione è di miliardi di euro. Ogni anno gli Stati membri spendono milioni per erigere barriere, implementare sofisticati sistemi di monitoraggio e pattugliare le frontiere. Tra il 2007 e il 2013 l’Ue ha speso quasi 2 miliardi di euro per la protezione delle sue frontiere esterne, ma solo 700 milioni per migliorare la situazione di richiedenti l’asilo e rifugiati sul suo territorio.
L’Europa sta inoltre cooperando con i paesi vicini, come la Turchia, il Marocco e la Libia per creare una zona cuscinetto attorno all’Ue nel tentativo di fermare i migranti prima che raggiungano le frontiere europee. Così facendo l’Ue sta chiudendo un occhio di fronte alle violazioni dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati che avvengono in questi paesi.
«L’Ue non può venir meno ai suoi obblighi in materia di diritti umani e delegare il controllo sulla migrazione a paesi terzi. Tale cooperazione deve quindi essere interrotta», ha affermato John Dalhuisen.
«Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero degli sfollati nel mondo non è mai stato così importante dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quasi la metà di coloro che cercano di entrare irregolarmente in Europa sta fuggendo da conflitti e persecuzioni in paesi come la Siria, l’Afghanistan, la Somalia e l’Eritrea. I migranti devono poter entrare in Europa in modo sicuro e legale, così da evitare viaggi pericolosi», ha aggiunto John Dalhuisen.
Morire in mare
A causa della crescente difficoltà di raggiungere l’Europa via terra, rifugiati e migranti scelgono sempre più le rotte marittime per raggiungere la Grecia e l’Italia. Ogni anno centinaia di persone muoiono nel tentativo di raggiungere le coste europee.
A seguito delle innumerevoli tragedie al largo delle coste dell’isola di Lampedusa, dove oltre 400 persone hanno perso la vita nel 2013, l’Italia ha lanciatol’Operazione Mare Nostrum, che dallo scorso ottobre ha permesso di salvare oltre 50 mila persone. Non è però sufficiente. Nei primi mesi del 2014 sono morte oltre 200 persone nel Mediterraneo e nel mar Egeo, senza contare le molte centinaia di persone scomparse in mare.
«La responsabilità di queste morti dovrebbe essere collettiva. Altri Stati dovrebbero seguire l’esempio dell’Italia. La vita degli esseri umani vale di più di una frontiera», ha concluso John Dalhuisen.