Dopo i fatti di Andijan, Dilorom Abdukadirova andò in esilio. Tornata nel 2010 per riunirsi alla famiglia, venne immediatamente arrestata e falsamente accusata di aver tentato di rovesciare l’ordine costituzionale. Al termine del processo, durante il quale secondo i familiari era apparsa malconcia e con ferite al volto, l’imputata venne condannata a 10 anni, seguiti nel 2012 da altri otto anni per aver violato il regolamento carcerario.
Le autorità uzbeche non hanno mai indagato sulle denunce, giudicate credibili da Amnesty International, relative alle torture subite da Dilorom Abdukadirova.
Il 21 ottobre 2014, gli attivisti di Amnesty International in Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lettonia, Polonia, Regno Unito, Spagna e Svizzera si sono recate di fronte alle ambasciate dell’Uzbekistan o in altri luoghi simbolici innalzando cartelloni con le scritte “Basta segreti e bugie. Stop alla tortura in Uzbekistan”, per sollevare il caso di Dilorom Abdukadirova e denunciare l’uso massiccio e costante della tortura nel paese centro-asiatico.
«La tortura in Uzbekistan è una routine. Il governo continua a dire bugie invece di prendere misure efficaci per prevenirla. Non può più andare avanti in questo modo», ha dichiarato Maisy Weicherding, ricercatrice di Amnesty International sull’Uzbekistan. «I paesi della comunità internazionale, e soprattutto l’Unione europea, devono inserire il tema della tortura nelle relazioni con l’Uzbekistan».
Amnesty International continua a ricevere informazioni su persone sottoposte a maltrattamenti e torture da parte delle forze di sicurezza al momento dell’arresto e da parte del personal e penitenziario una volta in carcere. L’assenza di indagini su queste denunce rappresenta la norma.
Allo stesso tempo, l’Uzbekistan rimane impermeabile a un effettivo controllo internazionale. Negli ultimi anni né Amnesty International né altre organizzazioni internazionali indipendenti hanno avuto libero accesso nel paese per monitorare la situazione dei diritti umani.
Nell’ambito della sua campagna mondiale “Stop alla tortura”, Amnesty International sta sollecitando le autorità uzbeche a indagare su altre denunce di torture inflitte in carcere ad altri cinque prigionieri.
Azam Farmonov, prigioniero di coscienza ed esponente dell’organizzazione indipendente Società per i diritti umani dell’Uzbekistan. Arrestato nel 2006, è stato condannato a nove anni per estorsione dopo un processo iniquo. La sua famiglia ha denunciato che egli ha subito maltrattamenti e torture in carcere.
Erkin Musaev, ex funzionario del ministero della Difesa e collaboratore del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. In tre distinti processi, tutti iniqui, celebrati tra il 2006 e il 2007, è stato condannato a 20 anni di carcere per tradimento e abuso d’ufficio. I suoi familiari hanno denunciato che egli è stato costretto a confessare sotto tortura.
Murad Dzhuraev, ex parlamentare. Sta scontando varie condanne per un totale di 21 anni di carcere, inflitte al termine di processi iniqui, per imputazioni di natura politica. I suoi sostenitori hanno denunciato che egli è stato torturato per costringerlo a confessare. Le sue condizioni di detenzione sono crudeli, disumane e degradanti e la sua salute è gravemente peggiorata.
Muhammad Bekzhanov, direttore del quotidiano del partito di opposizione Erk, dichiarato fuorilegge. Nell’agosto 1999, al termine di un processo iniquo, è stato condannato a 15 anni. Durante il processo ha letto una dichiarazione denunciando di essere stato torturato per obbligarlo a confessare il falso. Avrebbe dovuto, con uno sconto di pena, essere rilasciato nel febbraio 2012, ma ha ricevuto un’ulteriore condanna a quattro anni e otto mesi per vio lazione del regolamento carcerario. Secondo i familiari, negli ultimi anni le sue condizioni di salute sono peggiorate e non sta ricevendo le cure mediche necessarie.
21 ottobre 2014