Azione di protesta di giornalisti birmani in solidarietà con cinque colleghi condannati a 10 anni di prigione.
Azione di protesta di giornalisti birmani in solidarietà con cinque colleghi condannati a 10 anni di prigione.

Myanmar Il giro di vite in vista delle elezioni ha mandato dietro le sbarre quasi 100 prigionieri di coscienza

Le autorità del Myanmar stanno arrestando e minacciando decine di attivisti pacifici nell’ambito di un’ondata di repressione in vista delle elezioni di novembre. Lo afferma Amnesty International nel lanciare una nuova campagna per la liberazione dei prigionieri di coscienza nel paese, l’8 ottobre 2015.

Il documento “Back to the old ways” illustra l’impennata della repressione nel corso degli ultimi due anni, un fatto che stride con le dichiarazioni ufficiali secondo le quali nessuno nel paese è imprigionato per aver pacificamente esercitato i propri diritti.

L’organizzazione per la difesa dei diritti umani ritiene che almeno 91 prigionieri di coscienza siano attualmente detenuti in Myanmar, anche se il numero effettivo potrebbe essere maggiore. Questo rappresenta un importante aumento dal perdono presidenziale pronunciato nel 2013, quando Amnesty International recensiva due soli prigionieri di coscienza.

“Il governo del Myanmar sta imbastendo una realtà alternativa ben più rosea dal punto di vista dei diritti umani, visione che la comunità internazionale è fin troppo desiderosa di accettare. La realtà non potrebbe essere più diversa. Le autorità hanno intensificato il giro di vite sulla libertà d’espressione nel corso dell’ultimo anno,” ha dichiarato Laura Haigh, ricercatrice sul Myanmar per Amnesty International. “Le cifre parlano da sole: riteniamo che almeno 100 manifestanti pacifici siano attualmente detenuti mentre altre centinaia vengono messi sotto accusa. Il presidente Thein Sein deve immediatamente rilasciare tutti i prigionieri di coscienza e metter fine alle pratiche repressive che sfociano in arresti arbitrari.”

Il giro di vite ha preso di mira persone considerate come una “minaccia” dal governo; tra questi difensori dei diritti umani, avvocati, attivisti dell’opposizione, studenti, sindacalisti e giornalisti.

Il documento presenta sette casi emblematici che rappresentano la nuova generazione di prigionieri politici del Myanmar. Tra questi il leader studentesco Phyoe Phyoe Aung, condannato a oltre nove anni di carcere per aver organizzato - a inizio 2015 - delle proteste contro una nuova legge che limita la libertà accademica. Il secondo è Zaw Win, un avvocato detenuto dopo aver usato, nel maggio 2014 fuori da un tribunale nella regione di Mandalay, un megafono per lanciare un appello per la fine della corruzione nel sistema di giustizia del paese.

A un mese dalle elezioni generali dell’8 novembre 2015, Amnesty International esorta il governo del Myanmar a liberare immediatamente e senza condizioni tutti i prigionieri di coscienza, far cadere le accuse contro coloro che hanno semplicemente esercitato pacificamente i propri diritti umani e abrogare o emendare tutte le leggi che violano i diritti umani.

L’organizzazione lancia un appello alla comunità internazionale che ha molto allentato la pressione sul Myanmar negli ultimi due anni, affinché intensifichi gli sforzi per indurre il presidente Thein Sein a rilasciare i prigionieri di coscienza detenuti in Myanmar.