In nome della sicurezza numerosi Stati stanno sviluppando misure di sorveglianza. Queste sono spesso eccessive e violano i diritti umani fondamentali. La nuova legge sulle attività informative (LAIn) mette a disposizione del Servizio di attività informative della Confederazione una gamma di nuovi mezzi di sorveglianza. Amnesty International critica in particolare due misure danneggiano in modo sproporzionato la sfera privata.
L’esplorazione dei segnali via cavo permetterebbe al Servizio di attività informative di registrare tutti i flussi di dati e di analizzarli tramite parole chiave. Questi servizi avrebbero così accesso a una quantità enorme di dati e al contenuto di comunicazioni elettroniche quali le e-mail, la telefonia o le ricerche in internet. Tutte le persone che si trovassero in Svizzera sarebbero toccate da queste misure di sorveglianza. Il segreto professionale di avvocati e medici sarebbe messo in causa.
I metadati (chi, quando, dove e con chi comunichiamo) di tutte le persone in Svizzera vengono già conservati per sei mesi. Se sospetta un’infrazione la polizia può consultare questi dati. Con la nuova legge sulle attività informative, il Servizio di attività informative avrebbe anch’esso accesso a queste informazioni, anche se la persona non è sospettata di atti illeciti.
Amnesty International respinge le due misure – l’esplorazione dei segnali via cavo e lo stoccaggio di metadati – poiché rappresentano una forma di sorveglianza di massa non fondata sul sospetto.
Amnesty non si oppone di principio alla sorveglianza. Ma essa è giustificata solo se ci sono indizi concreti di un’attività illegale, e se la misura è mirata e proporzionata. Al contrario la sorveglianza di massa indipendente da qualsiasi sospetto è inaccettabile.
Se non volete essere sottomessi al sospetto generalizzato votate “no” alla legge sulle attività informative, il 25 settembre.
L’argomentario completo di Amnesty International sulla votazione del 25 settembre può essere letto qui:
in francese
in tedesco
https://www.amnesty.ch/de/themen/ueberwachung/dok/2016/argumente-nein-nachrichtendienstgesetz