Il villaggio di Maktab Khaled, vicino a Kirkuk, è stato raso al suolo. © Amnesty International
Il villaggio di Maktab Khaled, vicino a Kirkuk, è stato raso al suolo. © Amnesty International

Kirkuk Distruzioni di case e civili arabi espulsi per mano delle autorità curde

7 novembre 2016
Amnesty International ha pubblicato il 7 novembre un nuovo rapporto nel quale denuncia che, dopo gli attacchi compiuti il 21 ottobre dal gruppo armato auto-denominato Stato islamico, le autorità curde della città di Kirkuk si sono rese responsabili, in quella che è apparsa una rappresaglia, di una serie di aggressioni fisiche, demolizioni di case ed espulsioni di centinaia di arabi, sia residenti che persone fuggite da combattimenti nelle province irachene limitrofe.

Molti di loro sono stati costretti a tornare nei luoghi di origine o sono stati reclusi in campi, in quanto sospettati di aver aiutato lo Stato islamico nel portare a termine gli attacchi del 21 ottobre.

“Senza alcun dubbio, le autorità di Kirkuk stanno affrontando una grave minaccia alla sicurezza ma questo non può giustificare la demolizione col bulldozer delle case e l’espulsione di centinaia di residenti arabi. Molti di loro, in passato, erano già stati costretti a lasciare le loro abitazioni a causa della violenza che domina nel paese e ora sono stati sgomberati e privati di un tetto un’altra volta” – ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice per le ricerche presso l’Ufficio regionale di Amnesty International di Beirut.

Dopo gli attacchi a sorpresa dello Stato islamico, andati a segno il 21 ottobre in otto diversi luoghi di Kirkuk, molte persone si sono viste confiscate le carte d’identità e sono state allontanate dalla città: almeno 250 di loro erano arrivate a Kirkuk dopo essere state sfollate da altre province a causa della violenza.

Almeno 190 famiglie sono state vittime di sgombero forzato, da parte dei peshmerga e degli asayish (rispettivamente, i combattenti curdi e le forze di sicurezza del Governo regionale curdo), nei villaggi di Qotan e Qoshkaya, nel distretto di Dibis, dove il 21 ottobre lo Stato islamico aveva colpito una centrale elettrica uccidendo 12 tra guardie di sicurezza e impiegati.

“Sgomberare con la forza e rendere sfollati gli arabi di Kirkuk è un atto illegale e crudele. Le autorità curde devono immediatamente porre fine alla distruzione illegale di proprietà civili e agli sgomberi forzati” – ha affermato Maalouf.

“Le distruzioni deliberate in assenza di una necessità militare sono crimini di guerra, così come ordinare lo sfollamento di civili a meno che non sia necessario per la loro stessa sicurezza o per imperative esigenze militari” – ha proseguito Maalouf.

Il rapporto di Amnesty International è basato su interviste a leader delle comunità locali, sfollati, abitanti, attivisti ed esponenti politici locali nonché su immagini fotografiche delle demolizioni e su dichiarazioni ufficiali.

“Muhayman” (il vero nome è celato per motivi di sicurezza), un 40enne padre di 10 figli di un villaggio a sud-est di Kirkuk, è stato sgomberato due volte dalle forze curde: nel 2015 e poi il 25 ottobre 2016. Ha raccontato ad Amnesty International che uomini in uniforme militare sono arrivati a Manshiya, nel quartiere di Wahed Huzairan ordinando ai residenti di lasciare la zona. Dalla mattina alla sera si sono allontanati e, dopo le demolizioni, delle centinaia di abitazioni ne sono rimaste in piedi solo 10.

“Ahmed”, la cui casa è stata demolita il 25 ottobre, ha descritto le scene di caos in cui gli abitanti cercavano di salvare i loro beni personali mentre i trattori e i bulldozer radevano al suolo il suo quartiere. Uno dei vicini, di fronte alla sua abitazione distrutta, si è tolto la vita.

Un uomo fuggito da Diyala nell’agosto 2014 con la sua famiglia ha riferito che le forze di sicurezza se la sono presa con lui per gli attacchi del 21 ottobre:
“Abbiamo dato i nostri martiri a Daesh [l’acronimo arabo con cui è chiamato lo Stato islamico] e voi li portate e qui e li nascondete nelle vostre case…” - gli hanno detto.

Tutta la famiglia è stata costretta a tornare a Diyala, nonostante le ben documentate denunce di uccisioni e rapimenti di arabi sunniti da parte delle milizie locali.

Pubblicamente, il governatore di Kirkuk si è impegnato a non espellere sfollati verso zone che sono ancora sotto il controllo dello Stato islamico, come Mosul e le zone limitrofe.

Amnesty International ha documentato il ripetersi di sgomberi forzati e demolizioni di abitazioni e villaggi arabi da parte dei peshmerga, che continuano a impedire agli abitanti dei villaggi arabi e agli arabi dei villaggi misti di rientrare a casa.

“Invece di violare il diritto internazionale sradicando arbitrariamente le persone dalle loro case, le autorità curde e quelle irachene dovrebbero offrire protezione a chi è già stato sfollato o cerca riparo dai combattimenti. Dovrebbero inoltre facilitare il ritorno volontario e in sicurezza di coloro che vogliono fare rientro nelle loro case” – ha concluso Maalouf.

Ulteriori informazioni
Kirkuk è sotto il controllo del Governo regionale del Kurdistan da quando, nel giugno 2014, le forze irachene si sono ritirate dal nord del paese a seguito dell’offensiva dello Stato islamico.
I tentativi di allontanare da Kirkuk gli sfollati e i residenti arabi sunniti risalgono a prima degli attacchi dello Stato islamico del 21 ottobre ma da quella data si sono intensificati.