© Roman Babakin / shutterstock.com
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Iniziativa anti-burqa Far leva sulla paura del fondamentalismo islamico invece di rafforzare i diritti delle donne

L’iniziativa anti-burqa è un nuovo tentativo di mettere da parte i diritti umani - inclusi i diritti delle donne - facendo una politica incentrata sui simboli. Le donne sono strumentalizzate per promuovere stereotipi sull’Islam, fomentando paure e attaccare i diritti fondamentali della popolazione straniera con l’introduzione di una nuova legge.

Il divieto del burqa non è una misura che permette l’emancipazione delle donne, come vogliono invece far credere gli iniziativisti. Innanzitutto il problema, visto il numero irrisorio di donne che lo indossano nel nostro paese, è costruito ad arte.

Non si tratta di una misura a favore dell’emancipazione delle donne

Inoltre ad essere direttamente colpite da questa misura sarebbero proprio le donne musulmane costrette ad indossare il velo integrale dai mariti o dalla loro comunità. Con il divieto sarebbero probabilmente ancor più emarginate ed isolate di quanto lo siano già attualmente. Per finire ci sono donne convertite all’Islam che indossano il burqa per rivendicare la propria identità, e che non sono costrette a farlo.

La discriminazione delle donne deve essere superata in altro modo

La discriminazione nei confronti delle donne straniere in Svizzera rimane un tema attuale. Le donne straniere sono spesso escluse, consapevolmente o meno, dalle misure per la promozione della parità e di protezione, ad esempio in materia di asilo, di protezione delle vittime e in relazione alla violenza domestica. Il divieto del burqa, però, non è la soluzione per questi problemi. Ad essere necessarie sono misure mirate, che devono essere attuate dalle autorità competenti in materia di asilo e migrazione, nell’ambito della polizia e della giustizia e nel campo della sanità e dei servizi sociali. Solo grazie a tali misure le donne di origine straniera potranno essere prese seriamente in considerazione come soggetti che beneficiano dei diritti umani, esprimere i propri bisogni e proteggersi contro violazione della loro identità fisica e psicologica.

Non giustificata da un interesse pubblico superiore

Il divieto di esprimere in pubblico la propria appartenenza religiosa attraverso un capo d’abbigliamento è contrario alla libertà d’espressione. La limitazione di questo diritto fondamentale, sancito dalla Costituzione federale, dovrebbe essere giustificata da un imperativo di interesse pubblico superiore ed essere proporzionale. La proporzionalità non è data per diversi motivi. Per quel che riguarda l’interesse pubblico superiore, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito, nella sua sentenza sulla Francia, che né l‘obiettivo relativo alla sicurezza pubblica, né quello della parità di genere sono motivi sufficienti per un divieto del velo integrale.

Non contribuisce alla convivenza pacifica

I promotori si basano sul ragionamento della Corte europea in occasione della sentenza sulla Francia, secondo il quale la coesistenza pacifica all’interno di una società può soffrire a causa del velo integrale. Questo giustificherebbe la limitazione della libertà d’espressione. Oltre al fatto che la situazione in Svizzera non è paragonabile a quella francese, gli iniziativisti si guardano bene dal menzionare l’avvertimento che accompagnava la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte metteva infatti in guardia di fronte alla conseguenze di tali divieti sul pubblico, in particolare sul rischio di rafforzare gli stereotipi nei confronti di determinati gruppi e di promuovere l’intolleranza più che la tolleranza. L’iniziativa contro i minareti lanciata dallo stesso comitato di Erkingen lo ha dimostrato: in Svizzera la convivenza non viene migliorata da tali iniziative. La maggioranza dei musulmani ben integrati in Svizzera, una popolazione non radicalizzata, vede in questi divieti dei mezzi di esclusione più che delle misure di integrazione. Tale divieto non risolverà i conflitti, non farà altro che alimentarli.