Sono cresciuta nell’era del capitalismo rampante. La messa in piega di JR, Bobby e Sue Ellen stavano invadendo sugli schermi delle televisioni francofone. Dallas rappresentava la pochezza di vite dedicate ai soldi del petrolio. Prendevamo le distanze con un misto di fascinazione e disgusto. Il culto del profitto e della crescita economica venivano elevati a modello di società.
Ma i paesi occidentali, culla e terra del capitalismo, incarnavano anche un mondo libero che garantiva i diritti civili e politici. Di fronte a un blocco comunista nel quale le polizie segrete – tra le quali KGB e Stasi – scrutavano ogni minuto della vita dei cittadini, l’occidente brandiva il diritto alla vita privata e le libertà pubbliche come dei valori intrinsecamente legali allo spirito mercantile.
Poi, improvviso, il crollo del blocco comunista. Rapidamente il mondo ha smesso di essere bi o uni polare. Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno messo in luce una nuova minaccia contro la sicurezza degli Stati: il terrorismo basato su un’interpretazione radicale dell’Islam. Era necessario partire in guerra contro questo nuovo nemico che, questa volta, non corrispondeva più a territori da indicare in rosso sul mappamondo.
In nome della lotta al terrorismo sono state adottate numerose leggi che limitano la libertà d’espressione e il diritto alla vita privata, accordando in particolare ampi poteri di sorveglianza ai servizi segreti. Ma lo stoccaggio elettronico di dati ha ridotto in modo significativo i limiti fisici imposti dalla carta. Grazie all’informatica è ora possibile produrre un’immagine fedele di ciò che una persona fa nel corso di una giornata. Edward Snowden, ex tecnico informatico della CIA, ci ha rivelato l’ampiezza delle misure di sorveglianza su larga scala che riguardano gli Stati Uniti e il resto del mondo. Abbiamo gridato allo scandalo. Poi però, in nome della lotta al terrorismo, i nostri Stati hanno adottato dispositivi simili.
In Svizzera la Legge sulla sorveglianza delle telecomunicazioni (LSCPT) e quella sulle attività informative (LAIn) prevedono una serie di nuove misure in materia di sorveglianza da parte delle autorità. In nome della sicurezza i nostri parlamentari limitano le nostre libertà e introducono tranquillamente una forma di sorveglianza di massa preventiva contraria al diritto al rispetto della sfera privata.
Ma libertà e sicurezza non sono vasi comunicanti. È possibile limitare la prima senza far migliorare la seconda. Nel gennaio 2015 uno studio svolto da una commissione creata dal presidente Obama ha concluso che in nessun caso la sorveglianza di massa ha permesso di impedire attacchi terroristici.
Quando si parla di sorveglianza la posta in gioco è alta. Accettiamo il modello capitalista che regge la nostra società proprio perché, volenti o nolenti, è legato alla garanzia delle libertà pubbliche. Ma cosa succederebbe se queste libertà venissero a sparire?
L’argomentario completo di Amnesty International sulla votazione del 25 settembre può essere letto qui:
in francese
in tedesco
https://www.amnesty.ch/de/themen/ueberwachung/dok/2016/argumente-nein-nachrichtendienstgesetz