Prisons within Prisons: Torture and ill-treatment of prisoners of conscience in Viet Nam (pdf, 54 pagine, inglese) illustra nel dettaglio i maltrattamenti ai quali sono sottoposti i prigionieri di coscienza in uno dei paesi più chiusi dell’Asia, inclusi lunghi periodi di detenzione in incommunicado e isolamento, le sparizioni forzate, la negazione delle cure mediche e i trasferimenti di carcere punitivi.
“Il Vietnam è un prolifico carceriere di prigionieri di coscienza, questo rapporto offre un raro sguardo sull’orrore con i quali i detenuti sono confrontati in carcere,” ha dichiarato Rafedi Djamini, direttore del programma Sud-est asiatico di Amnesty International.
“Il paese ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura nel 2015. Ma questo non basta. Per rispondere ai propri obblighi in materia di diritti umani le autorità devono introdurre riforme in linea con il diritto internazionale e garantire che i responsabili di tortura e maltrattamenti vengano portati davanti alla giustizia.”
Il rapporto si basa su un anno di ricerche che includono più di 150 ore di interviste con 18 ex prigionieri di coscienza che hanno trascorso da un mese a decenni in detenzione.
Cinque di questi uomini e donne hanno descritto a Amnesty International di aver trascorso lunghi periodi in isolamento, al buio, in celle sporche senza alcun accesso all’aria fresca, all’acqua e ai servizi igienici. Alcuni di loro stati spesso picchiati in contravvenzione con i divieti globali e nazionali di tortura.
Nel mese di giugno Amnesty International ha potuto visitare la prigione femminile nella provincia di Bắc Giang, un fatto estremamente raro in un paese che in generale non permette di accedere a questi luoghi.
Sparizioni forzate e altre forme di tortura e maltrattamenti
Per molti degli ex detenuti l’incubo è iniziato nel momento in cui le autorità vietnamite li hanno prelevati. Quattro persone hanno detto a Amnesty International di essere state vittime di sparizioni forzate.
‘Dar’, di etnia Montagnard, è stato arrestato per aver organizzato delle manifestazioni pacifiche dedicate a libertà religiosa e diritti umani. Per i primi tre mesi dopo il suo arresto, la sua famiglia credeva che fosse stato ucciso dalle autorità a il suo corpo abbandonato nella giungla. È stato processato e condannato in assenza di un rappresentante legale e della sua famiglia.
Durante i primi 10 mesi della detenzione di Dar, durata 5 anni, è stato tenuto in isolamento in una piccola cella, nel buio e nel silenzio totali. Per i primi due mesi veniva quotidianamente trascinato fuori dalla cella per essere interrogato e malmenato.
I pestaggi avvenivano con bastoni, tubi di gomma, pugni e calci. Le autorità hanno usato l’elettrochoc e incendiato un pezzo di carta per poi farlo scorrere lungo tutta la sua gamba, bruciandogli la pelle. Gli hanno anche chiesto di stare in una posizione dolorosa per otto ore alla volta.
In una occasione è stato appeso al soffitto per le braccia per 15 minuti mentre la polizia lo picchiava. A volte i poliziotti ricominciavano i pestaggi nel mezzo della notte, quando facevano irruzione nella sua cella, apparentemente ubriachi.
Per molti altri ex prigionieri ai quali Amnesty International ha parlato, la tortura e i maltrattamenti erano particolarmente intensi durante la detenzione prima del processo, quando le autorità cercavano di ottenere delle “confessioni”.
Detenzione incommunicado e isolamento
Tutti gli ex prigionieri di coscienza con i quali Amnesty International ha potuto parlare hanno subito un lungo periodo di detenzione incommunicado – dai due mesi ai due anni. Il diritto di contattare un avvocato, dei professionisti della salute e membri della propria famiglia sono degli elementi importanti di protezione da tortura e altri maltrattamenti, e rappresenta un elemento determinante per il diritto a processi equi.
Due ex detenuti non sono stati informati della morte della loro madre e si sono visti negare la possibilità di partecipare al funerale e vivere il lutto in famiglia.
Tạ Phong Tần, incarcerate per la sua attività di blogger e attivista, ha detto a Amnesty International che durante i quattro anni di detenzione solo sua sorella ha ottenuto il permesso di visitarla. Dopo essersi vista negare il permesso di visita due volte, il 30 luglio 2012, sua madre Đặng Thị Kim Liêng si è immolata davanti agli uffici statali in segno di protesta ed è morta a causa delle ustioni.
Mentre i parenti vengono tenuti a distanza i detenuti sono sempre più isolati.
Phạm Văn Trội, un altro ex prigioniero di coscienza, è stato tenuto in isolamento per oltre sei mesi dopo essersi lamentato per i fumi esalati da un vicino forno per mattoni. Ha raccontato ad Amnesty International di essere tormentato dal pensiero che altre persone possano essere morte nella cella dove dormiva.
Abusi e negazione
Se i prigionieri non sono detenuti in isolamento allora non sono in alcun modo protetti da possibili abusi da parte di altri prigionieri.
Un certo numero di ex prigionieri di coscienza hanno raccontato di essere stati stipati in piccole celle dove altri prigionieri, conosciuti come “antenne”, erano presumibilmente collusi con le autorità carcerarie e incoraggiati ad attaccarli. Questo li metteva in una situazione di costante minaccia di una possibile violenza.
Trattenere o negare le cure mediche per mesi o persino anni è un'altra misura punitiva descritta dai prigionieri. Diversi intervistati hanno pure affermato di essere stati drogati dai dipendenti della prigione.
Chau Heng, un attivista per i diritti terrieri dei Khmer Krom, ha detto a Amnesty International che nel corso dei quattro mesi di detenzione incommunicado precedenti al suo processi non solo è stato più volte pestato fino a perdere conoscenza, ma che gli sono anche state iniettate almeno due volte delle droghe, che gli hanno fatto perdere la memoria, gli hanno fatto perdere conoscenza, e lo hanno reso incapace di parlare o pensare in modo chiaro.
Quando è stato portato dal medico della prigione ha aperto la bocca per spiegare a gesti che non poteva parlare. “Il dottore mi ha picchiato nella bocca con un pezzo di plastica dura, rotondo. Ho perso dei denti, tra i quali anche un dente del giudizio. Ho perso così tanto sangue che sono svenuto un’altra volta.”
“La autorità vietnamite dovrebbero cogliere l’occasione delle modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in corso. Ora è il momento per far veramente valer gli obblighi internazionali e portare a processo coloro che sono responsabili di tortura e altri maltrattamenti, così da garantire la fine di queste terribili pratiche.” ha dichiarato Rafendi Djamin.