© Andrew Stanbridge / Amnesty International
© Andrew Stanbridge / Amnesty International

Myanmar Nuove prove di crimini contro l’umanità commessi sistematicamente contro i Rohingya

Comunicato stampa - 18 ottobre 2017
Oltre 530’000 uomini, donne e bambini Rohingya sono fuggiti dal nord dello Stato Rakhine in poche settimane durante la campagna mirata di uccisioni, stupri e incendi sistematici condotta delle forze di sicurezza del Myanmar. Lo afferma Amnesty International nel rendere pubblica l’analisi più approfondita dall’inizio della crisi.

‘My World Is Finished’: Rohingya Targeted in Crimes against Humanity in Myanmar descrive come le forze di sicurezza del Myanmar stiano conducendo una campagna di violenza sistematica, organizzata e spietata contro la totalità della popolazione Rohingya nel nord dello Stato Rakhine, dopo che un gruppo armato Rohingya ha attaccato circa 30 posti di blocco, il 25 agosto.

Decine di testimoni oculari delle violenze hanno implicato con consistenza delle unità specifiche, incluso il comando occidentale dell’esercito del Myanmar, la 33esima divisione di infanteria leggera e la Polizia di guardia frontiera.

“Nel corso di questa campagna orchestrata, le forze di sicurezza del Myanmar si sono brutalmente vendicate sull’intera popolazione Rohingya del nord dello Stato Rakhine, in un apparente tentativo di spingerli furoi dal paese in modo permanente. Queste atrocità continuano ad alimentare la peggior crisi dei rifugiati vissuta nella regione da decenni,” ha dichiarato Tirana Hassan, direttrice dell’unità di crisi di Amnesty International.

“Mettere in luce questi crimini spietati è il primo passo sulla lunga strada verso la giustizia. Le persone responsabili devono rendere conto delle proprie azioni, l’esercito del Myanmar non può semplicemente nascondere le gravi violazioni sotto il tappeto annunciando un’altra dubbiosa indagine interna. Il Comandante in capo delle forze armate, il generale Min Aung Hlaing, deve agire immediatamente per far sì che le sue truppe smettano subito di commettere atrocità.  ”

Crimini contro l’umanità
Testimonianze, immagini satellitari e dati, prove fotografiche e video raccolti da Amnesty International puntano tutte alla medesima conclusione: centinaia di migliaia di Rohingya - donne, uomini e bambini – sono stati vittime di attacchi estesi e sistematici che ammontano a crimini contro l’umanità.

Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale elenca 11 atti i quali, quando commessi con cognizione di causa nell’ambito di un attacco, costituiscono crimini contro l’umanità. Amnesty International ha documentato in modo consistente almeno sei di questi atti commessi nell’attuale ondata di violenza nel nord dello Stato di Rakhine: omicidio, deportazione e trasferimento forzato di una popolazione, tortura, stupro e altre forme di violenze sessuali, persecuzione e altri atti disumani quali la privazione di cibo e altri approvvigionamenti salvavita.

Le conclusioni si basano sulle testimonianze di oltre 120 Rohingya – uomini e donne – che sono scappati in Bangladesh nelle scorse settimane, come pure 30 interviste con professionisti del settore medico, soccorritori, giornalisti e funzionari del Bangladesh.

Gli esperti di Amnesty International hanno potuto corroborare le molte testimonianze oculari dei crimini commessi dalle forze di sicurezza del Myanmar tramite l’analisi di immagini satellitari e altri dati, come pure verificando fotografie e riprese video effettuate all’interno dello Stato Rakhine. L’organizzazione ha pure chiesto di poter accedere allo Stato Rakhine per investigare gli abusi commessi sul terreno da parte di tutti gli attori coinvolti, incluso l’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), il gruppo paramilitare Rohingya. Amnesty International continua a chiedere un accesso illimitato alla Missione di inchiesta delle Nazioni Unite e altri osservatori indipendenti.

Omicidi e massacri

Nelle ore seguite all’attacco da parte dell’ARSA, il 25 agosto, le forze di sicurezza del Myanmar, a volte sostenute dai vigilantes locali, hanno circondato i villaggi Rohingya nel nord dello Stato Rakhine. Soldati e poliziotti hanno poi aperto il fuoco contro uomini, donne e bambini Rohingya in fuga, uccidendo o ferendo gravemente centinaia di persone.

I sopravvissuti hanno descritto la fuga attraverso le colline e i campi di riso, dove avevano cercato rifugio. Persone anziane e malate non sono riuscire a scappare e sono morte carbonizzate nelle proprie case, date alle fiamme dai militari.

Questo schema si è ripetuto in centinaia di villaggi nei distretti di Maungdaw, Rathedaung e Buthidaung. Ma le forze di sicurezza, in particolare l’esercito del Myanmar, sembrano aver lanciato la propria offensiva più letale in villaggi specifici, vicino a dove ARSA aveva portato a termine i propri attacchi. (nel comunicato originale allegato i dettagli degli attacchi, casi specifici e testimonianze)

Stupro e violenza sessuale
Amnesty International ha intervistato sette sopravvissuti a violenze sessuali commesse dalle forze di sicurezza del Myanmar. Tra questi, quattro donne e una ragazza di 15 anni che sono state violentate, ognuna parte di gruppi separati nei quali tra le due e le cinque donne sono pure state violentate. Gli stupri sono avvenuti in due villaggi sui quali l’organizzazione ha indagato: Min Gyi nel distretto di Maungdaw, e Kyun Oauk a Buthidaung.

Come già documentato da Human Rights Watch e dal Guardian, dopo essere entrati a Min Gyi (chiamata dagli abitanti Tula Toli) la mattina del 30 agosto, i soldati del Myanmar hanno seguito gli abitanti dei villaggi Rohingya fuggiti verso il fiume, per poi separare uomini e ragazze dalle donne e dai bambini.

Dopo aver aperto il fuoco e ucciso numerosi uomini e ragazzi, come pure qualche donna e bambino, i soldati hanno preso dei gruppetto di donne, le hanno portate nelle case vicine dove le hanno stuprate prima di incendiare le case e le altre aree Rohingya del villaggio. (nel comunicato originale allegato i dettagli degli attacchi, casi specifici e testimonianze)

Roghi di villaggi organizzati e deliberati
Il 3 ottobre, UNOSAT – UN Operational Satellite Applications Programme – ha identificato 20.7 chilometri quadrati di costruzioni distrutte dal fuoco nei distretti di Maungdaw e Buthidaund dal 25 agosto. È probabile che questa cifra sottostimi l’entità reale della distruzione e dei roghi poiché una densa nube limitava la capacità dei satelliti di fotografare la situazione reale.

L’analisi da parte di Amnesty International dei dati relativi agli incendi partendo da immagini satellitari indica almeno 156 roghi nel nord di Rakhine dal 25 agosto, ma è probabile che anche in questo caso si tratti di una stima al ribasso. Nei cinque anni precedenti nessun incendio era stato evidenziato nello stesso periodo, la stagione dei monsoni, il che porta a pensare che si tratti di incendi volontari.

Le immagini stallitari del “prima” e “dopo” illustrano in modo chiaro quanto i testimoni hanno raccontato ad Amnesty International – ovvero che le forze di sicurezza del Myanmar hanno incendiato unicamente villaggi o aree Rohingya. Per esempio le immagini satellitari di Inn Din e Min Gyi mostrano ampie aree in cui le strutture sono state divorate dal fuoco accanto ad aree lasciate intatte. Alcuni aspetti delle aree non toccate dal fuoco, insieme ai racconti degli abitanti Rohingya riguardo a dove loro e le altre comunità etniche vivessero in quei villaggi, indicano che solo le zone Rohingya sono state colpite.

Amnesty International ha evidenziato uno schema simile in almeno una dozzina di villaggi dove i Rohingya vivevano in prossimità con persone di altre origini etniche.

“Visto le continue negazioni, le autorità del Myanmar potrebbero aver pensato di potersela cavare con omicidi su larga scala. Ma la tecnologia moderna, accompagnata da una ricerca rigorosa, fanno ribaltare l’ago della bilancia,” ha dichiarato Tirana Hassan.

“È ora che la comunità internazionale faccia un passo oltre l’indignazione pubblica e agisca per mettere fine alla campagna di violenza che ha spinto oltre la metà dellla popolazione Rohingya fuori dal Myanmar. Tagliare la cooperazione militare, imporre embarghi sulle armi e sanzioni individuali mirate alle persone responsabili degli abusi: così si può dire chiaramente che i crimini dell’esercito nello Stato Rakhine non saranno tollerati.”

“La comunità internazionale deve agire affinché la campagna di pulizia etnica non possa raggiungere il suo riprovevole obbiettivo. Per fare questo la comunità internazionale deve combinare il sostegno al Bangladesh affinché possa garantire condizioni adeguate e asilo sicuro ai Rohingya, con la garanzia che il Myanmar rispetti il diritto umano di questa popolazione a fare ritorno in modo sicuro, volontario e dignitoso nel proprio paese. Insistendo inoltre affinché il Myanmar metta fine, una volta per tutte, alla sistematica discriminazione nei confronti dei Rohingya e a tutte le ragioni profonde dell’attuale crisi.”