©Amnesty International
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Tecnologia Social media e manipolazione dell'opinione pubblica

La manipolazione dell’opinione pubblica non è nulla di nuovo. È stata tradizionalmente praticata ripetendo più e più volte lo stesso messaggio al grande pubblico e ai mezzi di comunicazione per montare una particolare narrazione nell’interesse di qualcuno. Questo avviene di solito con frasi che, proprio come gli annunci commerciali, vengono ripetute una infinità di volte fino a quando non vengono completamente assimilate dall’opinione pubblica.Articolo a cura di Claudio Guarnieri, Senior Technologist di Amnesty International.

La manipolazione dell’opinione pubblica non è nulla di nuovo. È stata tradizionalmente praticata ripetendo più e più volte lo stesso messaggio al grande pubblico e ai mezzi di comunicazione per montare una particolare narrazione nell’interesse di qualcuno. Questo avviene di solito con frasi che, proprio come gli annunci commerciali, vengono ripetute una infinità di volte fino a quando non vengono completamente assimilate dall’opinione pubblica.

Lo abbiamo visto, ad esempio, con la retorica del “sangue sulle sue mani” che è stata usata contro Snowden e Manning negli ultimi anni. Lo vediamo di recente nel Regno Unito con la “coalizione del caos” utilizzata dai conservatori per fare riferimento all’opposizione. E abbiamo visto innumerevoli esempi di tale pratica anche durante la campagna di Trump del 2016.

Il pubblico è fondamentalmente un consumatore di pubblicità politica.

Opinione pubblica: il ruolo dei Social Media

social media sono diventati una estensione di tutto questo. Oggi gli incentivi economici su internet promuovono un ambiente di clickbait (n.d.t “esca da click” – indica un contenuto web il cui scopo è quello di attirare il maggior numero di persone) e di gratificazione immediata, originariamente usato abilmente per la pubblicità online e guadagnare, ma che risulta perfetto anche per gli slogan politici, in particolare in un momento come questo di demonizzazione della politica.

Con i social media che stanno diventando sempre più la piattaforma primaria per il consumo di informazioni, è chiaro che siano diventati anche un campo da gioco per la propaganda e le campagne di disinformazione. Ma Internet non è una entità a parte, è semplicemente un riflesso della società, con tutto il bene e il male che ne deriva.

Con questo tanto discutere di notizie false (fake news – che francamente, è un termine che credo dovrebbe essere abbandonato, perché è impreciso e inutile per un dibattito costruttivo) e dei social media bots, penso che stiamo vivendo una tendenza preoccupante verso una sorta di techno-fatalismo, che trova nella tecnologia un capro espiatorio per importanti questioni sociali (come abbiamo visto più volte con l’introduzione nella società di una nuova tecnologia) e che, di conseguenza, invoca un qualche tipo di techno-soluzione, di per se problematica.

Stiamo vedendo lo svilupparsi di alcuni movimenti che invocano una sorta di sovra-regolamentazione dei contenuti online. Ad esempio in Germania, dove è stata adottata una legge che impone multe di decine di milioni di euro a società che non eseguono un adeguato e tempestivo filtro dei contenuti e replica alle “notizie false”.

Social Media ed elezioni

Questi sono fenomeni complessi che richiedono uno studio profondo e scrupoloso per essere compresi appieno. Non esiste ancora una indicazione solida di quale sia l’impatto reale (ad esempio durante le elezioni) delle notizie false e dei bots di Twitter, e sebbene possano averne, è obbligatorio, prima di adottare ulteriori leggi e controlli, avere una buona e documentata visione di quale sia la natura di questo problema.

Queste questioni devono essere analizzate nel contesto geografico e socio-politico in cui si manifestano. L’impatto di tali fenomeni differirà tra i paesi che attuano politiche repressive, con seri pericoli che coinvolgono la manifestazione politica, e paesi con un forte rispetto per lo stato di diritto e i diritti umani. Queste differenze potrebbero giustificare diverse reazioni e contromisure.

Innanzitutto, è rassicurante sapere che gli esseri umani continuano a guidare il dibattito politico.

Per quanto riguarda le campagne di disinformazione, Facebook ha recentemente affermato ad esempio che: “mentre riconosciamo la sfida continua del monitoraggio e della tutela contro le operazioni di informazione, la portata delle operazioni conosciute durante l’elezione degli Stati Uniti del 2016 è stata statisticamente molto piccola rispetto all’impegno globale sulle questioni politiche“.

Uno studio della Stanford University arriva a conclusioni simili, e il professore e co-autore Matthew Gentzkow ha commentato che “un lettore del nostro studio potrebbe dire, in base ad una nostra serie di fatti, che è improbabile che le notizie false abbiano influito sull’elezione” e che “i social media erano una fonte importante ma non dominante di notizie in vista delle elezioni“.

Per quanto riguarda le elezioni francesi, l’Università di Oxford ha pubblicato un articolo che ha valutato la distribuzione di notizie sui social media nel primo round e ha scoperto che “la maggior parte dei contenuti condivisi dagli utenti di Twitter interessati alla politica francese deriva da enti di informazione professionali. Sono inoltre state utilizzate informazioni provenienti da partiti politici, agenzie governative e altri esperti. Tuttavia, il 19,6% dei contenuti condivisi coinvolge altre tipologie di notizie e informazioni politiche. Comunque la maggior parte dei contenuti non sono notizie spazzatura ma contenuti generati da cittadini“.

E non solo, ma per quanto riguarda i bots di Twitter “per candidato, sembra che la maggior parte dei candidati abbia approssimativamente lo stesso numero di account altamente automatizzati che generano traffico su di loro“.

Eppure questo traffico automatizzato è pari a circa il 7% del totale, secondo i ricercatori di Oxford.

Tutto ciò significa che dobbiamo tornare un po’ indietro e guardare con prospettiva per trovare soluzioni adeguate e proporzionate che promuovano e rispettino il diritto alla libertà di espressione.

Una risposta guidata da ansia e panico non è probabilmente una soluzione costruttiva e non vogliamo finire in un luogo in cui le imprese, invece dei tribunali e dell’opinione pubblica, abbiano il diritto di decidere quando un contenuto è legittimo e quando non lo è, e per estensione, non vogliamo creare regimi di sovra-censura, perché non è certo filtrando contenuti che risolviamo il problema del fanatismo e del razzismo.

Inoltre, potremmo non renderci conto che, implementando determinate restrizioni o controlli su alcune tecnologie che potrebbero sembrare minacciose, possiamo causare un impatto negativo non intenzionale sulla vita di altri in diverse parti del mondo. Ad esempio, un giro di vite sul diritto all’anonimato on-line e l’obbligo di rispettarlo per i fornitori di servizi per la polizia, significherà necessariamente che alcuni difensori dei diritti umani in un altro paese non saranno più in grado di fare il proprio lavoro in modo sicuro.

Social Media: le sfide

Detto questo, è importante che il pubblico sia ben informato e non sia ingannato. Quando arriviamo al punto in cui i social media saranno nei fatti la principale fonte di notizie, e dal mio punto di visto non siamo ancora a questo punto, la risposta reale a questi temi sarà l’educazione e l’alfabetizzazione mediatica.

La tecnologia non può essere “degna di fiducia“, la tecnologia deve essere capita.

E dobbiamo assicurarci soprattutto che le generazioni future saranno disposte ad entrare nella loro vita politica con la giusta comprensione di come funziona la tecnologia, del modo in cui i media e i social media funzionano, e come possono essere influenzati, e assicurarsi che siano consapevoli del valore, e dotati di modi per cercare attivamente informazioni diverse e precise. E questo non è solo in risposta alla questione della disinformazione e della propaganda, ma in realtà è semplicemente un requisito per nutrire delle menti aperte.

Ci sono tuttavia alcune considerazioni che devono essere fatte per garantire che la tecnologia e internet possano contribuire positivamente, anziché negativamente, alla società.

Innanzitutto, dobbiamo ripensare alla pubblicità online – che oltre ad essere un mercato tossico, è corrosivo per il diritto alla privacy – è anche un fattore chiave per la dinamica di cui ho parlato. La pubblicità on-line, dopo tutto ciò, è la causa principale del clickbaiting, con tutte le conseguenze che ne derivano.

In secondo luogo, dobbiamo coinvolgere i giganti delle tecnologie e richiedere loro l’apertura dei processi decisionali per quanto riguarda i sistemi algoritmici. Non possiamo fare affidamento a sistemi che selezionano, danno priorità e trasportano informazioni ma che operano coperti da segreti commerciali.

Anche se queste decisioni algoritmiche potrebbero non essere una questione immediata adesso, molto probabilmente lo saranno in futuro e, come sappiamo, è troppo difficile portare indietro tecnologie dopo che sono state in vigore per anni, dobbiamo invece assicurarci di costruirle in armonia con principi etici e sociali fin dall’inizio.