- Numero delle esecuzioni è calato complessivamente del 31%, ed è raggiunto il numero più basso da almeno dieci anni,
- In diversi paesi si è però assistito ad un aumento delle esecuzioni, incluso in Bielorussia, Giappone, Singapore, Sud Sudan e USA,
- La Tailandia ha ripreso le esecuzioni, lo Sri Lanka minaccia di fare lo stesso,
- La Cina è rimasta il maggiore esecutore, seguita da Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq.
In seguito a modifiche nella legislazione anti-droga le esecuzioni in Iran – un paese che ricorre spesso alla pena capitale – sono diminuite del 50%. Iraq, Pakistan e Somalia hanno pure registrato un significativo calo nel numero di esecuzioni registrate lo scorso anno. Ne risulta un calo globale delle esecuzioni da almeno 993 nel 2017 ad almeno 690 nel 2018.
«L’importante diminuzione del numero di esecuzioni a livello mondiale dimostra che perfino i paesi apparentemente più reticenti stanno cambiando le proprie abitudini, e si rendono conto che la pena di morte non è la soluzione,» ha dichiarato Kumi Naidoo, Segretario generale di Amnesty International.
«Nonostante le misure retrograde attuate da alcuni paesi che ancora mettono a morte, il numero di esecuzioni avvenute nei paesi che fanno più spesso ricorso al boia è calato in modo significativo. Questo indica che c’è una speranza: è solo una questione di tempo prima che questa punizione crudele sia consegnata ai libri di storia, dove appartiene.»
Ripristino della pena di morte
Alcuni paesi hanno agito in contro-tendenza rispetto al resto del mondo. Amnesty International ha registrato un aumento delle esecuzioni in Bielorussia, Giappone, Singapore, Sud Sudan e USA. In Tailandia si è registrata la prima esecuzione dal 2009, e il presidente dello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, ha dichiarato di voler riprendere le esecuzioni dopo oltre 40 anni e ha pubblicato un annuncio per l’assunzione di boia nel febbraio 2019.
«Le notizie positive per il 2018 sono offuscate dal fatto che un piccolo numero di Stati sono vergognosamente determinati a invertire la tendenza,» ha dichiarato Kumi Naidoo.
«Giappone, Singapore e Sud Sudan hanno recensito il maggior numero di esecuzioni da anni, e la Tailandia ha ripreso le esecuzioni dopo una pausa durata più di 10 anni. Questi paesi rappresentano però una piccola minoranza. Sfido tutti i paesi che ricorrono ancora alla pena capitale a far prova di coraggio mettendo fine a questa aberrante forma di punizione al più presto.»
Noura Hussein, una giovane donna sudanese, è stata condannata a morte nel maggio 2018 per aver ucciso l’uomo che era stata costretta a sposare, quando ha tentato di stuprarla. Un’ondata d’indignazione mondiale, e una campagna da parte di Amnesty International, hanno fatto si che la sua condanna a morte è stata commutate e sostituita da una condanna a cinque anni di carcere.
II maggiori esecutori
La Cina continua a detenere il triste record delle esecuzioni. È impossibile ottenere delle cifre precise sull’applicazione della pena capitale in questo paese, poiché i dati sono classificati come segreto di Stato. Amnesty International ritiene che siano migliaia le persone condannate a morte e messe a morte nel paese ogni anno.
In Vietnam, fatto eccezionale, le autorità hanno reso pubbliche le statistiche sulla pena di morte, indicando che almeno 85 esecuzioni sono avvenute nel paese nel 2018. Questa cifra conferma il collocamento del paese tra i cinque paesi che ricorrono più spesso al boia: la Cina (1000+), l’Iran (almeno 253), l’Arabia Saudita (149), il Vietnam (almeno 85) e l’Iraq (almeno 52).
Nonostante l’importante calo del numero di esecuzioni avvenute nel paese, l’Iran rimane responsabile di oltre un terzo delle esecuzioni registrate su scala mondiale.
Amnesty International è anche preoccupata per l’importante aumento del numero di condanne a morte pronunciate in determinati paesi nel corso dello scorso anno.
In Iraq il numero delle condanne alla pena capitale è quadruplicato, passando da almeno 65 nel 2017 ad almeno 271 nel 2018. In Egitto il numero di condanne a morte è aumentato di oltre il 75%, passando da almeno 402 nel 2017 ad almeno 7171 nel 2018. Questo forte aumento è imputabile al fatto che le autorità egiziane presentavano un bilancio costernante, con delle condanne a morte pronunciate in seguito a processi di massa e spesso basati su «confessioni» ottenute tramite la tortura e dopo indagini di polizia segnate da vizi procedurali.
Una tendenza globale verso l’abolizione
Complessivamente le statistiche per l’anno 2018 mostrano che la pena di morte è in declino e che delle misure concrete sono messe in atto ovunque nel mondo per mettere fine a questa punizione crudele e disumana.
Per esempio, nel mese di giugno, il Burkina Faso ha adottato un nuovo Codice penale che esclude di fatto il ricorso alla pena capitale. Il Gambia, in febbraio, e la Malaysia, in luglio, hanno dichiarato una moratoria ufficiale sulle esecuzioni. Negli Stati Uniti, in ottobre, la legge sulla pena capitale dello Stato di Washington è stata dichiarata incostituzionale.
Nel mese di dicembre, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, 121 paesi – una cifra senza precedenti – hanno votato in favore di una risoluzione che chiede una moratoria mondiale sulla pena di morte. Solo 35 paesi hanno votato contro questa risoluzione.
«Lentamente ma inesorabilmente si va formando un consenso mondiale verso la soppressione della pena di morte. Amnesty porta avanti questa campagna da oltre 40 anni affinché si metta fine alle esecuzioni ovunque nel mondo. Questa lotta è lungi dall’essere vinta, perché ci sono ancora 19000 condannati nei bracci della morte nelle carceri del pianeta,» ha dichiarato Kumi Naidoo.
Alla fine del 2018, 106 paesi avevano abolito la pena di morte nella propria legislazione per tutti i crimini, e 142 erano abolizionisti nel diritto o nella pratica.