L’interno di una cella del centro per uomini CC1 di Phnom Penh nel carcere di Prey Sar, in aprile 2018. I prigionieri sono detenuti in celle estremamente piccole dove fio a 530 persone sono rinchiuse 24 ore su 24. ©AI (il fotografo chiede di rimanere anonimo).
L’interno di una cella del centro per uomini CC1 di Phnom Penh nel carcere di Prey Sar, in aprile 2018. I prigionieri sono detenuti in celle estremamente piccole dove fio a 530 persone sono rinchiuse 24 ore su 24. ©AI (il fotografo chiede di rimanere anonimo).

Cambogia Le conseguenze catastrofiche della violenta "guerra alla droga", segnata da tortura e corruzione

Comunicato stampa, 13 maggio 2020, Londra/Lugano – Contatto media
La triennale campagna di "guerra alla droga" del governo cambogiano ha alimentato un aumento delle violazioni dei diritti umani, riempiendo pericolosamente le strutture di detenzione e provocando una situazione allarmante dal profilo della salute pubblica - aggravata dalla pandemia Covid-19. È inoltre un fallimento rispetto all’obiettivo dichiarato, ovvero la riduzione del consumo di stupefacenti nel paese. Questa la conclusione di un nuovo rapporto di Amnesty International.

Il nuovo rapporto, Substance abuses: The human cost of Cambodia’s anti-drug campaign (Abuso di sostanze: Il costo umano della campagna antidroga in Cambogia), documenta come le autorità prendano di mira i poveri e gli emarginati, eseguano arresti arbitrari e sottopongano regolarmente i sospetti a tortura e altre forme di maltrattamento. Inoltre, chi non può comperare la propria libertà viene mandato in prigioni già sovraffollate e in pseudo "centri di riabilitazione" in cui i detenuti si vedono negare l'assistenza sanitaria e sono sottoposti a gravi abusi.

"La "guerra alla droga" della Cambogia è un vero e proprio disastro poiché si basa su sistematiche violazioni dei diritti umani. Ha pure creato molte opportunità per funzionari corrotti e mal pagati del sistema giudiziario, senza fare nulla di buono per la salute e la sicurezza pubblica", ha dichiarato Nicholas Bequelin, direttore regionale di Amnesty International.

Il primo ministro della Cambogia, Hun Sen, ha lanciato la propria campagna antidroga nel gennaio 2017. Qualche settimana prima, durante la visita di Stato del presidente filippino Rodrigo Duterte, i due leader si erano impegnati a cooperare nella lotta agli stupefacenti. Secondo i funzionari del governo, la campagna mira a ridurre il consumo di droghe e i danni correlati, anche ricorrendo ad arresti di massa di persone. Nel marzo 2020, il ministro degli Interni Sar Kheng ha chiesto un'azione legale contro tutti i "tossicodipendenti e spacciatori in casi di uso e distribuzione di droga su piccola scala".

Come la cosiddetta "guerra alla droga" delle Filippine anche questa campagna è costellata di violazioni dei diritti umani che colpiscono in modo sproporzionato i poveri e gli emarginati - indipendentemente dal fatto che facciano o meno uso di stupefacenti.

"Un approccio violento per punire le persone che fanno uso di droghe non solo è sbagliato, ma è del tutto inefficace. È ora che le autorità cambogiane tengano conto delle prove scientifiche che dimostrano come le campagne di repressione a tappeto non fanno altro che aggravare i danni sociali", ha aggiunto Nicholas Bequelin.

Due sistemi paralleli, una campagna devastante e nessun giusto processo

Nel corso dell’indagine, Amnesty International ha parlato con decine di vittime della disumana campagna antidroga in atto in Cambogia. Queste persone hanno raccontato di essere state sottoposte a due sistemi di punizione paralleli: alcune sono state arbitrariamente detenute senza accuse nei centri di disintossicazione, mentre altre sono state condannate attraverso il sistema giudiziario penale e mandate in prigione.

Le loro testimonianze rivelano una notevole coerenza nelle violazioni del diritto a un giusto processo che portano alla detenzione delle persone, e nessun metodo coerente nel determinare se le persone sono perseguite penalmente o inviate in centri di disintossicazione. I singoli agenti di polizia - a volte influenzati dalle tangenti - hanno un importante potere discrezionale per determinare il destino delle persone.

Il caso di Sopheap, 38 anni, dimostra la natura arbitraria della campagna. Ha iniziato a fare uso occasionale di metanfetamine all'inizio del 2017. Sei mesi dopo, nell'ottobre 2017, è stata arrestata in un raid antidroga insieme a due vicini di casa, di 16 e 17 anni.

"Non c'era più droga quando è arrivata la polizia, solo una bottiglia, un accendino e altri oggetti in giro", ha spiegato. "Hanno detto che ci avrebbero mandati in un centro di riabilitazione... ma in realtà ci hanno mandati in tribunale e poi in prigione".

Molte persone hanno descritto come sono state arrestate a seguito di incursioni della polizia in quartieri poveri o di retate di "abbellimento" delle città che espongono i poveri, i senzatetto e le persone che lottano contro la tossicodipendenza a rischio di arresto.

Sreyneang, una donna di 30 anni di Phnom Penh, ha raccontato ad Amnesty International come è stata torturata dopo il suo arresto arbitrario durante un raid antidroga a Phnom Penh: "Mi hanno chiesto quante volte ho venduto droga... Il poliziotto ha detto che se non avessi confessato, avrebbe usato di nuovo il taser su di me".

Le persone sottoposte a procedimenti penali hanno descritto in modo coerente procedure che hanno negato il diritto a un processo equo, comprese le condanne basate su prove inconsistenti e inadeguate e i processi sommari condotti in assenza di avvocati della difesa. Molti accusati avevano una comprensione molto limitata dei loro diritti, fatto che li ha esposti a un rischio ancora maggiore di violazioni dei diritti umani.

Un intervistato, Vuthy, aveva solo 14 anni al momento dell'arresto. Dopo essere stato arrestato in un raid antidroga, è stato picchiato da diversi agenti di polizia e accusato di traffico di droga. Ha raccontato: "Non ho capito il processo e cosa significassero le diverse visite in tribunale. La prima volta che ho capito cosa mi stava succedendo è stato quando mi hanno detto della mia condanna. Nessuno mi ha mai chiesto se avessi un avvocato o me ne ha dato uno".

Condizioni di detenzione disumane

La campagna, tutt'ora in corso, è stata presentata come un'operazione della durata di sei mesi, a partire da gennaio 2017, ed è la causa principale dell'attuale crisi di grave sovraffollamento delle altre strutture di detenzione cambogiane.

Questa crisi di sovraffollamento provoca gravi violazioni del diritto alla salute dei detenuti. Spesso equivale a un trattamento crudele, disumano o degradante ai sensi della legge internazionale sui diritti umani.

 Secondo i dati di marzo 2020, la popolazione carceraria nazionale è salita del 78% dall'inizio della campagna, raggiungendo oltre 38’990 persone incarcerate. La più grande struttura carceraria della Cambogia, la CC1 di Phnom Penh, ha superato i 9’500 prigionieri - quasi cinque volte la sua capacità stimata a 2’050 detenuti. 

Questa situazione avrebbe dovuto portare le autorità ad alleviare urgentemente il sovraffollamento estremo nei centri di detenzione del Paese nel contesto della pandemia Covid-19, anche rilasciando chi è detenuto senza un'adeguata base legale - come le persone detenute nei centri di detenzione per reati legati agli stupefacenti - e perseguendo la libertà condizionale, il rilascio anticipato o condizionale, e altre misure alternative non detentive per i prigionieri, specialmente quelli più a rischio di Coronavirus.

Maly ha descritto come lei e sua figlia di un anno sono state detenute nella prigione CC2 di Phnom Penh: "Era così difficile crescere mia figlia lì dentro. Voleva muoversi, voleva più spazio, voleva vedere l'esterno. Voleva la libertà... Spesso aveva la febbre e l'influenza. Poiché non avevamo spazio, mia figlia normalmente dormiva sdraiata sul mio corpo".

Mentre la popolazione totale dei centri di detenzione per reati legati agli stupefacenti in Cambogia non è un dato pubblico, tutte le testimonianze ottenute da Amnesty International suggeriscono che il sovraffollamento all'interno di questi centri è grave quanto nelle prigioni.

Tutti i centri di detenzione sono ad alto rischio di gravi epidemie di Covid-19, e molti detenuti hanno malattie preesistenti come l'HIV e la tubercolosi. Long, un ex detenuto della CC1, ha detto ad Amnesty International: "Se una persona ha un'infezione respiratoria, nel giro di pochi giorni tutti in cella si ammalano. È un terreno fertile per le malattie".

Riprese video esclusive dall'interno di una prigione cambogiana, pubblicate da Amnesty International il mese scorso, hanno mostrato un sovraffollamento estremo e condizioni di detenzione disumane. In risposta, un portavoce del dipartimento carcerario ha ammesso che "ogni giorno è come una bomba a orologeria" per un'epidemia di Covid-19 nelle strutture detentive.

Eppure, ad oggi, le autorità cambogiane non sono riuscite a intraprendere alcuna azione per ridurre la popolazione carceraria, anche se altri paesi della regione, tra cui la Thailandia, il Myanmar e l'Indonesia, hanno rilasciato decine di migliaia di persone a rischio, tra cui persone detenute con accuse legate agli stupefacenti. 

Tortura nei centri di disintossicazione

Anche se i centri di disintossicazione affermano di fornire cure alle persone tossicodipendenti, in pratica operano come luoghi di abuso. Ogni persona intervistata da Amnesty International ha fornito resoconti dettagliati di abusi fisici che equivalgono a torture o altri maltrattamenti commessi dal personale del centro o dai cosiddetti "capi stanza" - detenuti incaricati dal personale di far rispettare la disciplina.

Thyda, detenuta nel centro di disintossicazione Orkas Khnom a Phnom Penh nel 2019, ha detto ad Amnesty International: "Questa [violenza] l’hanno subita tutti ed è normale. Violenze come questa erano parte della routine quotidiana; parte del loro programma".

Un altro, Sarath, ha descritto il suo primo giorno in un centro di disintossicazione, dove è stato mandato all'età di 17 anni: "Appena la guardia se n'è andata, il “capo stanza”ha cominciato a picchiarmi. Sono rimasto privo di sensi, quindi non ricordo cosa è successo dopo".

Anche i centri di detenzione per tossicodipendenti sono stati oggetto di denunce di violenze sessuali e di decessi durante la detenzione. L'indagine di Amnesty International ha portato alla luce numerose nuove accuse in questo senso. Phanith, un ex capo stanza, ha raccontato ad Amnesty International di aver visto un detenuto "incatenato per le mani e i piedi in modo da non potersi muovere". E il capo dell'edificio lo ha picchiato in quel modo fino alla morte".

Basta approcci punitivi verso i tossicodipendenti

L'approccio duro delle autorità cambogiane nei confronti delle persone tossicodipendenti non ha raggiunto il suo obiettivo primario di ridurre il consumo di droga e i danni correlati. Ha però scatenato una crisi di salute pubblica e dei diritti umani catastrofica, che ha colpito le fasce più povere e a rischio della popolazione.

Eppure esistono alternative chiare e basate su prove scientifiche. La politica internazionale sugli stupefacenti è cambiata negli ultimi anni e ha portato a riforme radicali a favore di alternative che proteggano meglio la salute pubblica e i diritti umani, compresa la depenalizzazione dell'uso e del possesso di droghe per uso personale. Il Ministero della Salute cambogiano ha recentemente fatto alcuni passi nella giusta direzione, aumentando la disponibilità di trattamenti la cui efficacia è stata testata in contesti comunitari.

Tuttavia, è essenziale che tutti i centri di disintossicazione vengano chiusi tempestivamente e permanente. Le persone che vi sono detenute devono essere rilasciate immediatamente, con la disponibilità di sufficienti servizi sanitari e sociali.

Inoltre, le autorità cambogiane dovrebbero procedere senza indugio verso l'attuazione delle misure che si sono impegnate ad adottare al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nel 2019, così da mettere in atto una nuova politica sulle droghe che si allontani dal proibizionismo e protegga pienamente i diritti delle persone tossicodipendenti e delle altre comunità colpite.

"In Cambogia, e in tutto il mondo, la cosiddetta “guerra alla droga” è fallita. Ma ci sono chiare alternative già sperimentate che proteggono meglio i diritti umani. Le autorità cambogiane devono consegnare alla storia le politiche abusive, la detenzione arbitraria e la criminalizzazione, e abbracciare una nuova politica all’insegna di efficacia e compassione", ha detto Nicholas Bequelin.