“La decisione di oggi invia un messaggio alle più alte autorità di Myanmar: il mondo non tollererà le loro atrocità e non accetterà ciecamente la loro vuota retorica su quanto sta accadendo nello stato di Rakhine, dove 600.000 rohingya sono quotidianamente e sistematicamente privati dei loro diritti più essenziali e rischiano di subire ulteriori violazioni“, ha dichiarato Nicholas Bequelin, direttore di Amnesty International per l’Asia.
“Myanmar deve rispettare la decisione della Corte e agire immediatamente per porre fine alle violazioni in corso contro i rohingya ed evitare la distruzione delle prove dei crimini commessi ai loro danni“, ha aggiunto Bequelin.
“La decisione della Corte è giunta proprio dopo che Myanmar aveva reso note le conclusioni della ‘Commissione indipendente di inchiesta’ istituita dal governo. La Commissione non era indipendente né imparziale e non può essere ritenuta un tentativo credibile di indagare sui crimini contro i rohingya. Al contempo, non è stato fatto alcuno sforzo per svolgere indagini sulle gravi violazioni di ogni genere contro altre minoranze etniche, avvenute in altre parti del paese“, ha sottolineato Bequelin.
“Fino a quando tutti gli autori di gravi violazioni, tra cui coloro che hanno responsabilità di commando, non saranno tenuti a risponderne, questi crimini atroci continueranno a dilagare. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve con urgenza deferire al Tribunale penale internazionale la situazione in Myanmar“, ha concluso Bequelin.
Ulteriori informazioni
Il Gambia si è rivolto alla Corte di giustizia internazionale l’11 novembre 2019 sostenendo che Myanmar avesse violato gli obblighi disposti dalla Convenzione sul genocidio del 1948. Nel ricorso ha chiesto con urgenza che la Corte adottasse “misure provvisorie” per prevenire ogni atto che potesse equivalere o contribuire al reato di genocidio contro i rohingya e proteggere la comunità da ulteriori danni in attesa della sentenza.
Le udienze pubbliche si sono tenute all’Aja dal 10 al 12 dicembre 2019. La delegazione di Myanmar, guidata da Aung San Suu Kyi, consigliera di stato e capo di stato di fatto, ha respinto le accuse di genocidio e ha chiesto alla Corte di rigettare il caso e rifiutare la richiesta di misure provvisorie.
Il 20 gennaio 2020 la “Commissione indipendente d’inchiesta” istituita dal governo di Myanmar ha presentato la sua relazione finale al presidente dello stato. La Commissione ha concluso che le forze di sicurezza potrebbero aver commesso crimini di guerra e fatto “uso sproporzionato della forza” ma che non vi è alcuna prova di un intento genocidario. La versione integrale del rapporto non è stata ancora resa pubblica.