L'appello arriva dopo che 323.832 persone di 184 paesi e territori hanno firmato la petizione dell'organizzazione con la quale si chiede alle autorità cinesi di rilasciare le centinaia di migliaia di uomini e donne della minoranza musulmana detenuti arbitrariamente e sottoposti a internamento di massa, tortura e persecuzione nello Xinjiang.
"In tutto il mondo, centinaia di migliaia di persone hanno firmato la nostra petizione per esprimere il proprio sdegno di fronte alle prove di crimini contro l'umanità e altre gravi violazioni dei diritti umani inflitte ai musulmani nello Xinjiang", ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, "Ogni firma è un'esortazione diretta alla Cina affinché fermi immediatamente questa persecuzione sistematica".
"Il governo cinese deve rilasciare immediatamente tutte le persone detenute arbitrariamente nei campi e nelle prigioni, smantellare il sistema dei campi di internamento e porre fine agli attacchi sistematici contro i gruppi etnici prevalentemente musulmani nello Xinjiang".
Nuove testimonianze
Amnesty International ha intervistato decine di familiari di coloro che sono stati detenuti arbitrariamente nello Xinjiang e recentemente ha pubblicato nuovi video che condividono alcune delle loro esperienze.
La sorella di Memeteli, Hayrigul Niyaz, è stata detenuta dopo essere tornata dagli studi all'estero, e l’uomo non ha informazioni su dove si trovi nello Xinjiang. Memeteli ha dichiarato ad Amnesty International: "Se la incontrassi di nuovo, le direi: 'Mi dispiace, sorella mia, di non averti potuto salvare dai campi'".
Il padre di Adila, Sadir Ali, è stato arrestato nel 2018 e condannato a 20 anni di prigione, presumibilmente perché stava digiunando durante il Ramadan. Adila ha detto: "Nel profondo [del mio] cuore non sarò mai felice perché mio padre è in prigione o nel campo. Perché il governo cinese ci sta facendo questo?" Adila ha raccontato che da 11 anni non può visitare la sua città natale e di aver perso i contatti con i suoi parenti nello Xinjiang.
Abduweli Ayup, un noto attivista uiguro che ora vive in Norvegia, ha raccontato ad Amnesty International della sorella Sajidugul Ayup e del fratello Erkin Ayup, che stanno scontando rispettivamente 12 e 14 anni di carcere nello Xinjiang per "incitamento al terrorismo": "Sento che ogni volta che faccio qualcosa, sarà pericoloso per la mia famiglia. Nessuno può proteggere i membri della mia famiglia dalla punizione. So che forse le mie parole faranno arrabbiare molto il governo cinese, ma almeno farò sapere al governo cinese che non starò a guardare mentre torturano mia sorella. Non ho più paura di parlare".