Il rapporto Grecia: violenze, bugie e respingimenti documenta i respingimenti illegali delle autorità greche, via terra e via mare. Il rapporto esamina soprattutto le operazioni illegali nella regione del fiume Evros, che segna il confine terrestre tra Grecia e Turchia. Dopo l’apertura unilaterale delle frontiere terrestri da parte della Turchia, a febbraio e marzo del 2020 la Grecia ha respinto con violenza rifugiati e migranti. Documentando gli incidenti avvenuti da giugno a dicembre 2020, conseguenza di quegli eventi, questa ricerca dimostra che le violazioni dei diritti umani lungo la frontiera greca proseguono e sono diventate una pratica consolidata.
“È chiaro che segmenti diversi delle autorità greche operano in stretta collaborazione per catturare brutalmente e imprigionare persone in cerca di salvezza in Grecia, sottoponendone molte a violenze, per poi trasferirle sulle rive del fiume Evros prima di rinviarle sommariamente in Turchia”, ha dichiarato Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty International sull’immigrazione in l’Europa.
“La nostra ricerca dimostra che i respingimenti violenti rappresentano ormai la politica greca di controllo della frontiera nella regione del fiume Evros. L’organizzazione necessaria per eseguire tali rinvii, che negli episodi che abbiamo documentato hanno coinvolto fino a 1000 persone, talvolta più di una volta e attraverso luoghi di detenzione non ufficiali, mostra fin dove si sta spingendo la Grecia per rinviare queste persone in maniera illegale e per nascondere questa situazione”, ha proseguito Adriana Tidona.
La grande maggioranza delle persone con cui ha parlato Amnesty International ha riferito di aver subito o assistito a violenze, che hanno a volte causato ferite gravi, da parte di persone descritte come funzionari greci in uniforme o uomini in abiti civili: percosse con bastoni o manganelli, calci, pugni, schiaffi e spintoni. Gli uomini sono stati spesso denudati e sottoposti a umilianti e violente perquisizioni personali, a volte dinanzi a donne e minori.
Nella maggior parte dei casi, le violenze descritte costituiscono una violazione del divieto internazionale di trattamenti inumani o degradanti. Alcuni casi, inoltre, costituiscono tortura, a causa della loro gravità e del fine umiliante o punitivo.
Saif (nome di fantasia), un venticinquenne siriano respinto quattro volte ad agosto 2020, ha dichiarato ad Amnesty International che durante il suo secondo tentativo il gruppo con cui viaggiava è stato attaccato da “soldati” in tenuta nera e passamontagna e trasferito sulle rive del fiume Evros. Due persone del gruppo hanno cercato di fuggire ma sono state fermate e brutalmente picchiate da uno dei soldati. Saif, che pensava che a un uomo fosse stata spezzata la colonna vertebrale, ha riferito ad Amnesty International: “Non riusciva proprio a muoversi, non riusciva neanche a muovere le mani”. Secondo Saif, dopo che i soldati hanno portato i due feriti al di là del fiume in Turchia, sono giunti i soldati turchi e un’ambulanza per assistere i feriti.
Una persona ha detto ad Amnesty International che durante una delle operazioni di rinvio è stata costretta, insieme al resto del suo gruppo, a scendere dall’imbarcazione in prossimità di un isolotto nel mezzo del fiume Evros; lì sono rimasti abbandonati per giorni. Un uomo costretto a gettarsi in acqua non sapeva nuotare e annaspava chiedendo aiuto; è stato visto mentre veniva trascinato via dalla corrente.
I respingimenti non avvengono solo nelle zone di frontiera. Le persone vengono fermate e detenute persino in aree della Grecia continentale, prima di essere riportate nella regione dell’Evros per poi essere rinviate illegalmente. Amnesty International ha parlato con quattro persone che erano state fermate arbitrariamente e detenute in zone della Grecia settentrionale e infine respinte in Turchia in gruppi più grandi. Tra loro, c’erano una persona con status di rifugiato riconosciuto e un richiedente asilo registrato che viveva nella Grecia continentale da quasi un anno.
Uno di loro, Nabil (nome di fantasia), trentunenne siriano e richiedente asilo registrato in Grecia, ha dichiarato ad Amnesty International di essere stato arrestato al porto della città di Igoumenitsa, nella Grecia nord-occidentale. La polizia gli ha detto che sarebbe stato trasferito ad Atene e rilasciato. Invece, è stato trasferito in un secondo luogo di detenzione più vicino al confine terrestre nei pressi del fiume Evros, picchiato e infine respinto insieme a un gruppo di 70 persone, tra cui alcuni minori. Nabil ha detto ad Amnesty International: “Prima di salire sul bus, ho mostrato alla polizia la mia tessera di richiedente asilo ma l’hanno presa, l’hanno strappata e mi hanno detto di salire sull’autobus”.
“Tutte le persone con cui abbiamo parlato sono state respinte da aree dove Frontex è molto presente con il suo staff. L’agenzia non può dunque sostenere di non sapere delle violazioni che noi e molti altri abbiamo documentato. Frontex ha il dovere di impedire le violazioni dei diritti umani e se non è in grado di farlo in maniera efficace, dovrebbe ritirarsi o sospendere le operazioni in Grecia”, ha concluso Adriana Tidona.
Ulteriori informazioni
Il rapporto di Amnesty International Grecia: violenze, bugie e respingimenti si basa sulle conversazioni avvenute con 16 persone, che hanno subito 21 respingimenti. Esamina principalmente i respingimenti lungo il confine del fiume Evros, avvenuti tra giugno e dicembre 2020. Sulla base di queste testimonianze, si calcola che tali operazioni illegali abbiano coinvolto circa 1000 persone.
Oggi, Human Rights Watch pubblica una ricerca correlata che esamina l’accertamento di responsabilità di Frontex in merito alle violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell’Unione europea, tra cui le frontiere greche.
Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ha l’obbligo di intraprendere ogni necessaria misura al fine di proteggere ogni persona dalle violazioni dei diritti umani e di sospendere o ritirarsi dalle proprie operazioni se tali violazioni si verificano.