Film Festival Diritti Umani Lugano 2022 Resistenza creativa alla giunta militare: Myanmar Diaries di Myanmar Film Collective

di Sophie Regina Blonk - pubblicato da Amnesty International Svizzera, pubblicato il 21 ottobre 2022
Sabato 22 ottobre, alle 17.30, appuntamento al Cinema Corso di Lugano per la proiezione di Myanmar Diaries di Myanmar Film Collective. Segue un incontro con Tim Enderlin, Ambasciata svizzera in Myanmar, Justine Boillat, responsabile del programma di politica di pace in Myanmar del DFAE e Coman Kenny, consulente legale di Independent Investigative Mechanisme for Myanmar, IIMM. Vi proponiamo un approfondimento.

Dal colpo di Stato militare messo in atto dalle forze armate birmane la mattina del 1º febbraio 2021 per rovesciare il governo di Aung San Suu Kyi, le autorità militari hanno arrestato, detenuto, perseguitato e imprigionato decine di giornalisti, privato i media delle loro licenze, bloccato le comunicazioni cellulari e internet e azzerato anni di conquiste della libertà di stampa. La già fragile democrazia del Paese è stata distrutta.

Myanmar Diaries di Myanmar Film Collective

Il docufiction Myanmar Diaries è composto da una serie di cortometraggi giornalistici, toccanti e creativi, prodotti nel Paese e montati insieme per esprimere una forte voce di resistenza che racchiude la rabbia collettiva, la paura e la speranza in un futuro migliore. Condivide la voce di coloro che si oppongono alla brutalità dei militari e lottano per la libertà di espressione. Testimonianze oculari e scene di finzione, quasi poetiche, si alternano tra loro: un uomo prega per il suo amore perduto, una ragazza esita a dire al suo ragazzo, che sta per fuggire nella giungla, che è incinta. Altrettanto suggestive sono le riprese dei giornalisti partecipativi, che mostrano unione nella resistenza alla giunta militare. Così, la gente batte disperatamente, ma con determinazione e forza, sulle pentole per avvisare la comunità quando un uomo rischia di essere arrestato dai militari. Il finale del film lega mirabilmente i frammenti tra loro, lasciando lo spettatore impressionato e commosso. In una giungla, qualcuno grida a gran voce verso lo spettatore: "Ci senti?". Una domanda di speranza ma anche panico, con sfumature sia politiche che creative.

Democrazia distrutta

L'esercito del Myanmar, dopo il colpo di Stato del 1° febbraio 2021, ha attuato una brutale repressione a livello nazionale contro milioni di persone che protestavano contro il suo governo. Le uccisioni di massa, gli arresti arbitrari, le torture, le violenze sessuali e altri abusi perpetrati dalle forze di sicurezza della giunta contro giornalisti, manifestanti, operatori sanitari e membri dell'opposizione politica costituiscono crimini contro l'umanità. La libertà di parola e di riunione è soggetta a gravi restrizioni. Le rinnovate operazioni militari hanno provocato numerosi crimini di guerra. Il Myanmar ha a lungo sfidato gli appelli internazionali alla responsabilità, anche per i crimini contro l'umanità e altri crimini di atrocità commessi contro i Rohingya e altre minoranze etniche.

Repressione contro i media

Le persecuzioni, le intimidazioni, le molestie e le violenze di cui sono vittime i giornalisti in Myanmar costituiscono un chiaro tentativo da parte delle autorità militari di reprimere il dissenso pacifico e di nascondere le violazioni commesse dalle forze di sicurezza dopo il colpo di Stato del 1° febbraio 2021.

I giornalisti intervistati da Amnesty International hanno espresso la preoccupazione che la repressione in corso a seguito del colpo di Stato preannunci un ritorno ai giorni più bui della censura, dell’autocensura e della disinformazione sponsorizzata dallo Stato. Prima delle elezioni del 2016 di Aung San Suu Kyi,  politica birmana che ottenne il Nobel per la Pace nel 1991, il Paese visse infatti 53 anni di regime militare. "Sentiamo che tutto sta tornando ai giorni della nostra infanzia. Non vogliamo tornare a quei giorni in cui c'erano solo media di proprietà dello Stato", riporta un reporter di Yangon. "È davvero difficile lottare e sopravvivere come giornalista in questo periodo in Myanmar. Non è sicuro, non solo per i giornalisti, ma anche per le loro famiglie. Tutti noi affrontiamo ogni giorno questa situazione di insicurezza. Ma continuiamo a cercare di raccontare quanto più possibile".

La repressione ha portato alla negazione dei diritti alla libertà di espressione e all'accesso alle informazioni.  "I giornalisti sono in prima linea nella lotta per esporre la verità su quanto sta accadendo oggi in Myanmar", ha dichiarato Emerlynne Gil, vicedirettrice regionale di Amnesty International per la ricerca. "La violenza sfacciata, le intimidazioni e le molestie che le autorità militari stanno perpetrando nei loro confronti dimostrano quanto possa essere potente la denuncia della verità. I singoli giornalisti possono essere minacciati, arrestati o anche andare incontro a un destino peggiore".

Il Myanmar è oggigiorno il secondo più grande carceriere di giornalisti al mondo, dopo la Cina. Secondo i dati più recenti dell'Associazione di assistenza ai prigionieri politici birmani (AAPPB), aggiornati al 21 maggio 2021, sono 88 i giornalisti ad essere arrestati dal colpo di stato del 1° febbraio. Più della metà rimane in carcere e 33 sono in clandestinità. Due sono stati rilasciati su cauzione. Decine di persone sono fuggite dal Paese o hanno cercato rifugio nei territori controllati dalle organizzazioni etniche armate. Due giornalisti sono stati feriti da colpi di arma da fuoco mentre coprivano le proteste.

Amnesty International chiede che le autorità militari del Myanmar cessino l'assalto ai diritti umani, compreso il diritto alla libertà di espressione e alla libertà dei media, garantiscano il rispetto del diritto all'informazione e interrompano le aggressioni ai giornalisti.