"L'uso di armi da fuoco letali contro i manifestanti dimostra una palese mancanza di rispetto per la vita. Nonostante gli sforzi del governo nel dipingerle come terroristi o criminali, le persone uccise erano manifestanti, osservatori e passanti. Quasi tutte provenivano da ambienti poveri, indigeni e campesinos. Questo suggerisce un pregiudizio razziale e socioeconomico nell'uso della forza letale", ha dichiarato Agnès Callamard, Segretaria Generale di Amnesty International.
"Non si tratta di episodi isolati riconducibili ad agenti disonesti che hanno agito di propria iniziativa. Il numero di morti in date e in luoghi diversi suggerisce una risposta statale deliberata e coordinata. Le autorità peruviane devono indagare sulla possibilità che i funzionari abbiano ordinato o almeno tollerato queste uccisioni, indipendentemente dalla loro posizione nella catena di comando".
Il rapporto, Lethal racism: Extrajudicial executions and unlawful use of force by Peru’s security forces,, analizza 52 casi di persone uccise o ferite durante le proteste ad Andahuaylas, Chincheros, Ayacucho e Juliaca. Questi casi includono 25 morti, 20 dei quali potrebbero costituire esecuzioni extragiudiziali perpetrate dalle forze di Stato. In questi 20 casi, le forze dell'ordine hanno sparato munizioni vere su parti del corpo altamente vulnerabili (testa, collo, torace e addome). Ulteriori prove, tra cui video, immagini, fascicoli penali e dichiarazioni di testimoni, indicano l'uso ingiustificato della forza. Negli altri cinque decessi, Amnesty International ha prove di un possibile uso eccessivo della forza.
Le proteste scoppiate lo scorso dicembre in gran parte del Perù in seguito a una crisi politica hanno incluso il blocco di autostrade, aeroporti e altre infrastrutture. Le analogie nell'uso della forza contro i manifestanti in diverse parti del paese indicano una possibile strategia ordinata o tollerata da alti funzionari. Inoltre, invece di condannare l'uso eccessivo della forza, i più alti funzionari del Perù lo hanno incoraggiato, elogiando pubblicamente le azioni delle forze di sicurezza, stigmatizzando i manifestanti come "terroristi" e diffondendo intenzionalmente disinformazione.
Sebbene i primi decessi si siano verificati l'11 dicembre ad Andahuaylas, la polizia e i militari hanno continuato a ricorrere alle stesse tattiche in città diverse, a giorni e persino settimane di distanza. Armati di fucili d'assalto, hanno sparato indiscriminatamente munizioni vere contro i civili, causando numerosi morti. Nonostante le suppliche degli uffici del Difensore civico per i diritti umani di Andahuaylas, Ayacucho e Juliaca di evitare l'uso eccessivo della forza (incluso una telefonata dell’Ombudsman diretta al Ministro della Difesa), le forze di sicurezza hanno continuato a sparare, in molti casi, per ore. Il 16 dicembre ad Ayacucho, ad esempio, lo stesso personale militare è stato dispiegato nelle medesime strade in cui il giorno prima erano state uccise diverse persone, mentre decine erano rimaste ferite.
Non solo le forze di sicurezza hanno fatto un uso eccessivo della forza, ma diversi elementi suggeriscono che alti responsabili potrebbero essere considerati complici dal profilo penale per aver contribuito ad occultare le armi utilizzate per gli omicidi. I registri delle armi della polizia e dell'esercito che sono stati consegnati alla Procura Generale e che Amnesty International ha potuto analizzare non forniscono dettagli su tutte le munizioni utilizzate e su chi abbia sparato con armi specifiche. Nel caso di Juliaca, il 9 gennaio, solo due ufficiali della Direzione delle Operazioni Speciali hanno riferito di aver sparato quattro proiettili calibro 7,62 con i loro fucili AKM. Eppure, quel giorno almeno 15 persone sono state uccise da munizioni letali e altre decine sono state ferite con armi da fuoco. La polizia ha anche nascosto l'uso di pallini di piombo (una munizione vietata per il personale delle forze dell'ordine a livello nazionale e internazionale), seppur questi abbiano causato numerosi morti e feriti.
Con la condizione di garantirne l’anonimato, Amnesty International ha intervistato un poliziotto di Apurimac, che ha detto: "Spesso tra gli agenti di polizia si dice che se c'è un gruppo violento, si spara a una persona. Perché finché non ci sono morti, le persone sono ancora su di giri. Ma quando vedono una vittima allora si calmano".
Dei 25 decessi documentati da Amnesty International, 15 erano di giovani di età inferiore ai 21 anni, molti dei quali provenienti da famiglie povere di origine indigena. La madre di Chistopher Michael Ramos Aime*, un ragazzo di 15 anni ucciso dai militari ad Ayacucho mentre attraversava la strada disarmato, ha detto: "Se non fossimo stati poveri, Christopher non sarebbe morto. Perché non avrebbe dovuto lavorare quel giorno".
Amnesty International ha condotto un'analisi statistica dei decessi registrati durante le proteste che suggerisce un marcato pregiudizio razziale da parte delle autorità peruviane. Si riscontra un numero sproporzionatamente alto di morti nelle aree in cui vivono popolazioni storicamente emarginate, anche quando le proteste non erano più frequenti o violente rispetto ad altre regioni.
Ad esempio, a Lima sono state registrate 104 proteste e cinque atti di violenza da parte di civili, rispetto a 37 proteste e cinque atti di violenza da parte di civili ad Ayacucho. Eppure, c'è stato un solo morto a Lima, dove solo il 20% della popolazione si identifica come indigena o afro-discendente, mentre ad Ayacucho, dove l'82% della popolazione è indigena o afro-discendente, sono state uccise 10 persone.
In particolare, la polizia e i militari hanno usato munizioni vere letali solo fuori dalla capitale nazionale, anche se Lima ha registrato livelli di protesta e violenza simili a quelli di altre regioni.
Nonostante le gravi violazioni dei diritti umani commesse, la Procura Generale del Perù non ha condotto indagini rapide e approfondite. Per quanto Amnesty International ha potuto accertare, i procuratori non hanno ancora sequestrato le armi utilizzate dalle forze di sicurezza durante le operazioni, né hanno interrogato gli agenti coinvolti, nonostante i loro nomi siano a loro disposizione. La mancanza di risorse, di esperti e di procuratori assegnati a questi casi, oltre a una serie di misure istituzionali adottate dal Procuratore Generale, tra cui diversi rimpasti di personale, hanno compromesso le indagini e la raccolta di prove fondamentali.
Dato il rischio di impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini di diritto internazionale, Amnesty International chiede alla Procura Generale di assicurare indagini rapide, approfondite e imparziali; di richiedere l'assistenza tecnica di meccanismi regionali o internazionali per i diritti umani nelle indagini penali e di garantire l'accesso delle vittime alla giustizia.
L'organizzazione chiede inoltre alla Presidente Dina Boluarte di condannare e porre fine all'uso della forza letale e delle munizioni proibite come i pellet da parte delle forze di sicurezza in risposta alle proteste. Il governo peruviano dovrebbe anche effettuare una valutazione urgente del razzismo strutturale che permea le azioni delle istituzioni statali.
*La famiglia ha acconsentito all'uso del suo nome completo.
Sullo stesso tema
Razzismo letale: Esecuzioni extragiudiziali e uso illegale della forza da parte delle forze di sicurezza del Perù (Ricerca, 25 maggio 2023)
https://www.amnesty.org/en/documents/amr46/6761/2023/en/
Perù: La repressione letale dello Stato è un altro esempio di disprezzo per la popolazione indigena e campesina (Notizie, 16 febbraio 2023)
https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/02/peru-lethal-state-repression/