Firma la petizione e chiedi con noi lo stop delle esecuzioni!
((stato al 9 gennaio 2023))
Coerente con una politica di occultamento di lunga data sulle violazioni dei diritti umani e cercando di disumanizzare le vittime, le autorità iraniane non hanno rivelato l’identità delle persone condannate a morte. Nel corso delle indagini, Amnesty International ha ottenuto informazioni confermando i nomi di 10 persone condannate a morte.
L’8 dicembre, le autorità hanno messo a morte il manifestante Mohsen Shekari, dopo averlo condannato in un processo gravemente iniquo con l’accusa di “inimicizia contro Dio” meno di tre mesi dopo il suo arresto.
Il 12 dicembre, le autorità hanno messo a morte pubblicamente un altro giovane manifestante, Majidreza Rahanvard, a Mashahd, provincia di Khorasan-e Razavi, dopo averlo condannato per “inimicizia contro Dio” in un processo gravemente iniquo. È stato messo a morte meno di due settimane dopo una sessione del tribunale il 29 novembre 2022.
Il 7 gennaio sono state eseguite le condanne a morte di Mohammad Mehdi Karami e Seyed Mohammad Hosseini. L’8 gennaio, Mohammad Boroughani e Mohammad Ghobadlou sono stati trasferiti nel braccio della morte in attesa di imminente esecuzione.
Le persone sono state sottoposte a processi iniqui: sono stati negati i loro diritti a essere difesi da un avvocato di propria scelta, alla presunzione di innocenza, a rimanere in silenzio non rispondendo alle domande e ad avere un processo giusto e pubblico. Secondo fonti ben informate, numerosi imputati sono stati torturati e le loro confessioni, estorte con la tortura, sono state usate come prove nel corso dei processi. Le TV di stato hanno mandato in onda le “confessioni” forzate di almeno nove imputati, prima dei loro processi.
Amnesty International teme che oltre a queste decine di persone, molte altre rischino l’esecuzione, considerate le migliaia di rinvii a giudizio disposti finora. Il timore di imminenti esecuzioni è accresciuto dalle richieste da parte del parlamento e di altre istituzioni di avere processi rapidi ed esecuzioni pubbliche.
Firma la petizione e chiedi con noi lo stop delle esecuzioni!
Cosa è successo
Il 13 settembre 2022 Mahsa (Zhina) Amini, una ragazza di 22 anni di origini curde, è stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia “morale” iraniana, che regolarmente sottopone donne e ragazze ad arresti e detenzioni arbitrarie, torture e altri maltrattamenti per non aver rispettato l’obbligo discriminatorio di indossare il velo.
Secondo testimoni oculari, Mahsa Amini è stata picchiata violentemente mentre veniva trasferita con la forza nel centro di detenzione di Vozara a Teheran. In poche ore, è stata trasferita all’ospedale di Kasra dopo essere entrata in coma. È morta tre giorni dopo.
La micidiale repressione da parte delle autorità iraniane della rivolta popolare in corso in Iran, scoppiata immediatamente dopo la morte di Mahsa Amini, è l’ultima di un ciclo di violenti attacchi contro persone che, già negli anni precedenti, avevano espresso il loro legittimo dissenso. Ad oggi si parla di più di 400 persone uccise e di oltre 14.000 arresti durante le proteste.
Amnesty International documenta costantemente i crimini di diritto internazionale e le altre gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità iraniane nel contesto delle proteste, tra cui uccisioni illegali a seguito dell’uso ingiustificato della forza letale, arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate, torture e altri maltrattamenti e condanne a lunghe pene detentive o alla pena di morte a seguito di processi gravemente iniqui. Le autorità iraniane hanno ignorato i ripetuti appelli della comunità internazionale ad aprire indagini su tali crimini. Invece, hanno cercato di distruggerne le prove mentre perseguitavano i sopravvissuti e i parenti delle vittime impegnati nella richiesta di verità, giustizia e riparazione.
Firma la petizione e chiedi con noi lo stop delle esecuzioni!
I casi
Dei nove imputati giudicati da diversi tribunali rivoluzionari o dal tribunale speciale di Teheran tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, solo Mohammad Ghobadlou è accusato di omicidio in relazione alla morte di un agente di polizia. Mohammad Boroughani è accusato di essere coinvolto in un incendio doloso e di aver aggredito un agente di polizia, mentre gli altri sette imputati sono accusati di atti di vandalismo, incendio doloso e distruzione di proprietà pubbliche e private. Queste costituiscono ulteriori gravi violazioni da parte delle autorità iraniani rispetto agli obblighi derivanti dal diritto internazionale, che prevede che la pena capitale deve essere limitata ai “crimini più gravi” come l’omicidio volontario.
Mohammad Ghobadlou è stato torturato durante la detenzione, anche tenendolo in isolamento prolungato e negandogli medicinali. Un rapporto medico legale datato 20 ottobre segnala anche la presenza sul suo corpo di bruciature e ferite, risalenti al periodo di detenzione.
Il processo collettivo di altre 15 persone è iniziato il 30 novembre presso la prima sezione del tribunale rivoluzionario della provincia Alborz. Gli imputati sono accusati del reato di “ostilità verso Dio” (moharebeh) in relazione all’aggressione mortale di un agente della forza paramilitare basiji, senza specificare il presunto ruolo di ciascuno di essi nell’accaduto. Tra le persone sotto processo, c’è una coppia di sposi, Farzaneh Ghare-Hasanlou e Hamid Ghare-Hasanlou. Secondo una fonte ben informata, le autorità hanno torturato la coppia per estorcere “confessioni” forzate ad Hamid Ghare-Hasanlou e costringere Farzaneh Ghare-Hasanlou a rendere dichiarazioni che lo incriminassero. Il 6 novembre, due giorni dopo l’arresto, la TV di stato ha mandato in onda un video che descriveva la coppia come “due assassini” e ha trasmesso le loro “confessioni” forzate. Il 1° dicembre, Hamid Ghare-Hasanlou è stato trasferito dall’ospedale dove era stato operato per un’emorragia interna e portato in tribunale per essere processato, mentre era sotto forti sedativi e ancora convalescente dall’operazione, per poi essere riportato in ospedale. I primi due avvocati della coppia hanno rimesso l’incarico dopo essere stati minacciati da agenti dei servizi di sicurezza e dell’intelligence.
Il processo di Majidreza Rahnavard per “ostilità verso Dio” (moharebeh) è iniziato il 29 novembre di fronte a un tribunale rivoluzionario. Le autorità lo hanno accusato di aver pugnalato due agenti basiji a Mashhad, nella provincia del Razavi Khorasan, il 17 novembre, appena 12 giorni prima del processo. Prima che questo iniziasse, i mezzi di informazione statali hanno trasmesso riprese video di Majidreza Rahnavard durante gli interrogatori condotti da funzionari e giornalisti, mentre lui bendato, rendeva dichiarazioni autoincriminanti in evidente stato di coercizione. Nei video appare con il braccio sinistro fasciato e ingessato, un’immagine che fa temere la tortura. Il 12 dicembre, le autorità iraniane lo hanno messo a morte pubblicamente.
Il rapper dissidente Toomaj Salehi è stato arrestato il 31 ottobre nella provincia di Chaharmahal e Bakhtiar: è stato accusato di “ostilità verso Dio” (moharebeh) e “corruzione sulla terra” (efsad-e fel arz), pare a causa solo della sua musica e dei post sui social media, in cui denuncia le pratiche ingiuste delle istituzioni della Repubblica islamica e chiede libertà e diritti umani per la popolazione iraniana. Il suo caso è stato trasmesso al tribunale rivoluzionario di Isfahan. Secondo una fonte ben informata, durante la detenzione è stato torturato.
Amnesty International ha raccolto informazioni secondo le quali anche Ebrahim Rigi e Akbar Ghafari rischiano di essere condannati a morte, ma mancano conferme ufficiali da parte degli organi giudiziari. Akbar Ghafar è accusato di “ostilità verso Dio” (moharebeh) in relazione alla morte di un agente di sicurezza a Teheran. Secondo un prigioniero che è stato con lui per breve tempo nella prigione di Evin, Akbar Ghafari, che non è in grado di leggere, è stato costretto sotto tortura a firmare una dichiarazione in cui, come ha scoperto dopo, si autoincriminava dell’omicidio dell’agente. Ora è detenuto senza contatti col mondo esterno nel carcere centrale di Teheran, noto come Fashafouyeh. Ebrahim Rigi, della minoranza baluci, è stato arrestato il 13 settembre a Zahedan, nella provincia del Sistan e Balucistan.
A questo link l’elenco delle persone a rischio di esecuzione in relazione alle proteste nazionali.
Firma la petizione e chiedi con noi lo stop delle esecuzioni!