© Amnesty International
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Europa/Manifestazioni pacifiche Un diritto sistematicamente sotto attacco

Comunicato stampa, 9 luglio 2024, Londra/Berna – Contatto media
In tutta Europa il diritto di riunione pacifica è fortemente minacciato poiché gli Stati stigmatizzano, criminalizzano e reprimono sempre più spesso i manifestanti pacifici, imponendo restrizioni ingiustificate. Limitazioni che avvengono anche in Svizzera.

Amnesty International pubblica oggi un rapporto, Under-protected and over-restricted: The state of the right to protest in 21 countries in Europe, che esamina lo stato del diritto di manifestare in tutto il continente. Leggi repressive, uso di forza non necessaria o eccessiva, arresti e procedimenti giudiziari arbitrari, restrizioni ingiustificate o discriminatorie, nonché l'uso crescente di tecnologie di sorveglianza invasive, sono tutti elementi che contribuiscono a un sistematico arretramento del diritto di manifestare.

Su 21 paesi analizzati per il rapporto – Svizzera inclusa – Amnesty International osserva una tendenza preoccupante: ovunque leggi e politiche repressive, associate a pratiche ingiustificate e a tecnologie di sorveglianza abusive, creano un ambiente tossico che minaccia fortemente le manifestazioni pacifiche e chi le organizza o partecipa. Uno scivolamento verso la “sicurezza totale” illustrato in particolare dalle ferite gravi inflitte a manifestanti pacifici, l’assenza di procedimenti contro i membri delle forze dell’ordine responsabili o da cambiamenti legislativi che permettono una sorveglianza mirata senza garanzie adeguate sui diritti delle persone sorvegliate. In questo contesto il riconoscimento facciale è utilizzato in 11 paesi su 21, mentre altri 6 stanno valutando di introdurla. Inoltre, la legittimità delle manifestazioni pacifiche è sempre più messa in discussione nella retorica ufficiale che, secondo il contesto, utilizza termini quali “terroristi”, “criminali”, “agenti stranieri”, “anarchici” e “estremisti” per indicare le persone che esercitano il proprio diritto alla libertà di riunione pacifica.

"La ricerca di Amnesty dipinge un quadro profondamente inquietante di un attacco a livello europeo contro il diritto di manifestare. In tutto il continente, le autorità stanno diffamando, impedendo, scoraggiando e punendo illegalmente le persone che manifestano pacificamente", ha dichiarato Alicia Giraudel, ricercatrice e giurista per la Sezione svizzera di Amnesty International. "In Svizzera diversi cantoni sembrano seguire questa tendenza inasprendo le condizioni per lo svolgimento di manifestazioni, senza distinzioni tra la semplice festa di quartiere e la manifestazione per esprimere la propria opinione, protetta dai diritti umani."

La situazione in Svizzera

Il rapporto sottolinea in particolare le contraddizioni tra il diritto e la pratica elvetica nei confronti degli obblighi che la Svizzera ha accettato a livello internazionale. Il regime di autorizzazione come viene applicato nella quasi totalità dei cantoni limita – se non scoraggia – l’esercizio del diritto di manifestare delle persone interessate. Si esige in effetti che ogni manifestazione, anche quando riunisce un piccolo numero di persone o si svolge a più di 48 ore da un evento al quale reagisce, sia oggetto dello stesso tipo di autorizzazione che una manifestazione prevista con mesi di anticipo. È così che, il 15 agosto prossimo, un tribunale di Berna si pronuncerà sul caso di una collaboratrice di Amnesty Svizzera che si era recata all’ambasciata russa per consegnare una petizione con altri cinque attivisti senza aver chiesto un’autorizzazione. Esiste quindi un solo regime di autorizzazione che non fa distinzione tra i diversi tipi di raduni e che non prevede quasi eccezioni. Una pratica in contraddizione con gli obblighi giuridici internazionali che affidano agli Stati la responsabilità di rispettare, proteggere e facilitare le assemblee pacifiche, di togliere gli ostacoli alle manifestazioni e di evitare le ingerenze ingiustificate nell’esercizio del diritto di riunione pacifica.

Le particolarità del sistema federale elvetico sono fonte di difficoltà supplementari per le persone che vogliono manifestare. Da un cantone all’altro esistono disparità nelle leggi e nei regolamenti che richiedono una conoscenza dettagliata del regime di autorizzazione applicabile o delle condizioni da rispettare. Analogamente, pure essendoci similitudini tra cantoni – in particolare riguardo la necessità di coprire o contribuire ai costi dei servizi pubblici quali la pulizia delle strade, la sicurezza e la fornitura di servizi d’urgenza o ancora le denunce nei confronti di chi organizza o partecipa a organizzazioni non autorizzate – rimane difficile tracciare un quadro completo del diritto di manifestare in Svizzera. A Friburgo, per esempio, la polizia ha fatturato agli organizzatori di una manifestazione i costi dovuti alla gestione della circolazione stradale. Il ricorso è attualmente in corso davanti alla giustizia friburghese. La Corte Europea dei Diritti Umani deve inoltre pronunciarsi in merito alla responsabilità dell’organizzatrice dello sciopero femminista ginevrino e sull’esigenza da parte dell’autorità che garantisse un servizio d’ordine.

"Non ci sono regole valide per tutta la Svizzera, ce ne sono tante quanti i cantoni e i comuni", spiega Alicia Giraudel. Per questo motivo, per dare seguito a questo rapporto regionale e per esaminare più precisamente le specificità svizzere, Amnesty International pubblicherà nel corso dell’autunno una sintesi delle maggiori problematiche presenti in Svizzera, cantone per cantone.

"Invece di limitare le manifestazioni pacifiche e punire coloro che scendono in piazza, l’Europa e la Svizzera devono rivedere completamente il proprio approccio. Le manifestazioni devono essere facilitate, non messe a tacere. Le leggi e i regolamenti adottati devono essere rivisti per renderli compatibili con gli obblighi internazionali in materia di diritti umani."

Contesto

Il rapporto esamina la situazione nei seguenti paesi: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia e Ungheria.