Mohammad Ghobadlou e Farhad Salimi sono stati impiccati. © privato
Mohammad Ghobadlou e Farhad Salimi sono stati impiccati. © privato

Iran Altre due esecuzioni

25 gennaio 2024
L’esecuzione di due prigionieri in Iran, al termine di processi clamorosamente irregolari, ha segnato un nuovo picco di crudeltà da parte delle autorità iraniane. All’alba del 23 gennaio è stato impiccato Mohammad Ghobadlou, un manifestante di 23 anni con disabilità mentale, a seguito di un processo e di una sentenza avvolte dal segreto. Lo stesso giorno è stato messo a morte Farhad Salimi, appartenente alla minoranza curda, la cui richiesta di un nuovo processo era stata ignorata per un decennio.

“L’esecuzione di Salimi conferma che in Iran la pena di morte è usata in modo sproporzionato contro le oppresse minoranze etniche. Quella di Ghobadlou è stata un atroce inganno nei confronti dei suoi familiari e del suo avvocato, tenuti all’oscuro della decisione delle più alte cariche dello stato di aggirare i procedimenti legali, i principi più elementari di umanità e lo stato di diritto”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

L’avvocato di Ghobadlou ha appreso che il suo cliente sarebbe stato impiccato appena 12 ore prima, nonostante nel luglio 2023 la prima sezione della Corte suprema avesse annullato una precedente condanna a morte e ordinato un nuovo processo, mai celebrato dopo l’intervento diretto del capo della magistratura, Gholamhossein Mohseni Eje’i.

Quella di Salimi è stata la quarta esecuzione, dal novembre 2023, di un gruppo di sette curdi condannati a morte dieci anni prima in un processo irregolare durato solo pochi minuti e basato su “confessioni” estorte con la tortura. Amnesty International teme che gli altri tre prigionieri del gruppo – Anwar Khezri, Kamran Sheikheh e Khosrow Basharat – possano essere messi a morte in tempi brevi.

Mohammad Ghobadlou era stato arrestato nei primi giorni delle proteste del movimento Donna Vita Libertà. Era stato accusato di aver investito a morte un funzionario di polizia durante una protesta nella capitale Teheran, il 22 settembre 2022. Era stato condannato a morte, al termine di un processo irregolare, il 24 novembre dello stesso anno e la condanna era stata confermata dalla sezione 39 della Corte suprema il 12 marzo 2023.

Il 25 luglio 2023, tuttavia, la prima sezione della Corte suprema aveva annullato la condanna e ordinato un nuovo processo che valutasse anche le possibili attenuanti legate alle condizioni di salute mentale di Ghobadlou. Il nuovo processo non c’è mai stato.

Secondo documenti ufficiali pubblicati su X dall’avvocato di Ghobadlou poco prima dell’esecuzione, il capo della magistratura ha bloccato il nuovo processo e rinviato il caso ai giudici della sezione 39 della Corte suprema, quella che aveva precedentemente ratificato la condanna a morte. A seguito delle proteste nazionali e internazionali, dopo l’impiccagione la sezione 39 della Corte suprema ha reso noto un verdetto datato 4 gennaio 2024, mai visto prima, che in un paragrafo annullava, senza fornire alcuna spiegazione, il verdetto emesso nel luglio 2023 dalla prima sezione. È quindi emerso che il capo della magistratura era intervenuto su sollecitazione del capo della procura di Teheran, Ali Alghasi, per impedire un nuovo processo.

Fahrad Salimi era strato arrestato nel dicembre 2009 nella provincia dell’Azerbaigian occidentale insieme ad altri curdi sunniti. I sette erano stati accusati di appartenenza a “gruppi salafiti”.

In una serie di lettere fatte uscire dal carcere, i sette uomini avevano denunciato di essere stati torturati per estorcergli “confessioni”. In particolare, Salimi aveva scritto che aveva ricevuto costanti pressioni per autoincriminarsi e per rinunciare all’avvocato di sua scelta.

Nel giugno 2018 la sezione 26 del tribunale rivoluzionario aveva condannato a morte i sette imputati per “corruzione sulla terra”. La Corte suprema aveva annullato il verdetto per mancanza di prove rimandando il caso alla sezione 15 del tribunale rivoluzionario, che aveva emesso una nuova condanna a morte.

Entrambi i processi erano stati clamorosamente irregolari: durante le indagini gli imputati non avevano potuto avere colloqui con gli avvocati, questi non avevano potuto prendere la parola durante le udienze e le “confessioni” estorte con la tortura erano state ammesse e usate come prove della colpevolezza.

Due dei condannati a morte – Ghasem Abesteh e Ayoub Karimi – erano stati impiccati nel novembre 2023.

Il 3 gennaio 2024 Salimi e altri tre condannati a morte avevano iniziato lo sciopero della fame per protestare contro l’impiccagione di un terzo coimputato, Davoud Abdollahi, avvenuta il giorno prima. Il 21 gennaio, prova dell’imminente esecuzione, Salimi era stato trasferito nella sezione di isolamento della prigione di Ghezal Hesar, a Karaj, nella provincia dell’Alborz.

Gli altri tre prigionieri superstiti – Anwar Khezri, Kamran Sheikheh e Khosrow Basharat – continuano lo sciopero della fame.