© IMAGO / ZUMA Wire / Carlos Garcia Grantho
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Perù La presidente potrebbe essere considerata responsabile di omicidio per le uccisioni durante le manifestazioni

Comunicato stampa, 18 luglio 2024, Londra/Berna – Contatto media
Diciotto mesi dalle proteste del dicembre 2022 e il marzo 2023, teatro dei più gravi episodi di violazione diffuse della storia recente del Perù, prove chiave indicano una possibile responsabilità penale della presidente Dina Boluarte. Lo afferma Amnesty International nel presentare un nuovo rapporto sulle proteste, in cui persero la vita 50 persone e un poliziotto con il ferimento di oltre 1400 persone.

Il rapporto, Who Called the Shots? Chain of Command Responsibility for Killings and Injuries in Protests in Peru, descrive in dettaglio le decisioni chiave prese dalla presidente in veste di comandante in capo delle forze armate e di polizia del Perù. Quanto evidenziato nel documento dovrebbe essere valutato dai pubblici ministeri relativamente alla responsabilità penale individuale della presidente Boluarte.

"La presidente del Perù, i ministri, i comandanti della polizia e dell'esercito hanno preso decisioni che alla fine hanno avuto conseguenze letali. Centinaia di vittime e sopravvissuti attendono risposte riguardo a ciò che sapevano o avrebbero dovuto sapere gli alti funzionari, e su cosa non è stato fatto per fermare gli omicidi", ha dichiarato Ana Piquer, direttrice per le Americhe di Amnesty International.

Davanti ai pubblici ministeri e sotto giuramento, la presidente Boluarte ha negato di aver avuto contatti diretti con i comandanti e ha minimizzato il suo ruolo nella repressione di Stato. Il rapporto mostra invece che, nei tre mesi di proteste nel Paese, la presidente si è incontrata più volte con i capi delle forze armate e della polizia. Ha quindi avuto molteplici opportunità per condannare il diffuso uso illegale della forza e per ordinare un cambiamento di tattica sul campo. Tuttavia, invece di utilizzare i suoi frequenti incontri con i ministri, la polizia e i comandanti militari a questo scopo, Boluarte ha continuato a elogiare pubblicamente le forze di sicurezza, diffamando i manifestanti come "terroristi" e "criminali", senza fornire prove in tal senso.  Inoltre, invece di chiamare i suoi subordinati a rispondere del proprio operato, ha deciso di promuovere funzionari chiave a posizioni più elevate, benché avessero supervisionato direttamente operazioni di polizia e militari che hanno provocato numerosi morti.

Nel caso della Polizia nazionale peruviana (PNP), i comandanti della polizia hanno firmato piani operativi che etichettavano i manifestanti come "terroristi", hanno inviato forze speciali d'élite pesantemente armate con il compito di affrontarli, hanno autorizzato l'uso della forza letale e hanno ripetuto gli stessi ordini per mesi, nonostante le numerose uccisioni. Inoltre, la PNP non è stata in grado di fornire ad Amnesty International i dettagli di alcuna azione disciplinare contro gli agenti coinvolti, pur avendo archiviato almeno 18 indagini disciplinari aperte contro agenti di polizia. Dopo aver supervisionato e firmato tutti i piani operativi che hanno avuto conseguenze letali durante le proteste, la presidente Boluarte ha promosso l'ufficiale di polizia responsabile di questi piani a comandante di primo livello della PNP. 

Amnesty International ha ottenuto i piani operativi interni della PNP e ha scoperto che, oltre a mantenere l'ordine pubblico mentre le strade e le strutture pubbliche erano bloccate dai manifestanti, la polizia riceveva ordini vaghi come "rimuovere gli ostacoli umani". A tal fine, la polizia era armata di fucili d'assalto e i piani consentivano alle unità dotate di tali armi letali di sparare su ordine di un capo operativo. Questo quadro permissivo per quanto riguarda la forza letale ha violato sia la legge peruviana sia la legge internazionale sui diritti umani, secondo cui le armi da fuoco sono inappropriate per il controllo della folla. I piani operativi chiariscono inoltre che i superiori nella catena di comando erano costantemente informati e consapevoli di quanto stava accadendo.  

Le operazioni della polizia si sono rivelate fatali fin dai primi giorni del loro dispiegamento. Ad Andahuaylas, il 12 dicembre 2022, le forze speciali di polizia hanno sparato munizioni letali da un tetto verso una collina dove decine di persone stavano assistendo a una schermaglia tra polizia e manifestanti, circa 200 metri più in basso. Gli agenti hanno ucciso due giovani sulla collina, ferendone altri. Amnesty International ha scoperto che i comandanti incaricati dell'operazione erano di stanza a soli due isolati dal luogo in cui è avvenuto il fatto. 

Nonostante il dispiegamento di unità di forze speciali ad Andahuaylas si sia rivelato fatale, i superiori nella catena di comando hanno continuato a usare le stesse tattiche per mesi, non riuscendo a fermare l'uso eccessivo, sproporzionato e non necessario della forza da parte dei loro subordinati. Un mese dopo le prime morti ad Andahuaylas gli alti comandanti della PNP hanno deciso di schierare gli stessi capi delle forze speciali per supervisionare le operazioni all'aeroporto di Juliaca, dove si sono registrate le proteste del 9 gennaio 2023. Quel giorno a Juliaca sono state uccise diciotto persone e oltre 100 sono rimaste ferite. 

L'operazione è andata avanti nonostante diversi organismi internazionali per i diritti umani avessero già condannato le azioni delle forze di sicurezza peruviane. Settimane prima l'esercito era già stato impiegato in un'operazione in un'altra città, all'aeroporto di Ayacucho. Dieci persone erano morte in un solo giorno. Tuttavia, gli alti comandanti della PNP hanno deciso di coinvolgere nuovamente l'esercito nell'operazione congiunta tra militari e polizia all'aeroporto di Juliaca.

Amnesty International ha anche analizzato la catena di comando e i piani operativi relativi al dispiegamento dell'esercito ad Ayacucho, il 15 dicembre 2022. I comandanti dell'esercito hanno classificato i manifestanti come "gruppi ostili", provocando una risposta combattiva da parte dei soldati nell'operazione e causando 10 morti e decine di feriti. I registri ottenuti da Amnesty International mostrano che quel giorno i soldati hanno sparato almeno 1.200 colpi - in risposta a "ordini verbali" dei superiori. 

Ad Ayacucho, gli spari contro manifestanti disarmati e passanti sono continuati per sette ore, nonostante le telefonate personali del difensore civico per i diritti umani al capo delle forze armate e al ministro della Difesa che chiedevano un cessate il fuoco.  

Nonostante le numerose prove che le azioni dell'esercito erano state eccessive, sproporzionate e non necessarie, in una conferenza stampa tenutasi due giorni dopo l'operazione letale ad Ayacucho, la presidente Dina Boluarte ha dichiarato che le sue azioni erano legittime. Quattro giorni dopo, ha promosso il Ministro della Difesa a capo del suo intero gabinetto. Nei mesi successivi alle operazioni di Ayacucho, l'esercito ha intrapreso solo un'azione disciplinare interna contro otto soldati per "reati minori", a dispetto delle numerose prove che i soldati avevano sparato con i fucili contro manifestanti disarmati, persone che stavano scappando o si erano fermati per aiutare i passanti feriti. 

I ministri del gabinetto della presidente non hanno nemmeno adottato misure per considerare responsabili i membri delle forze di sicurezza. Il ministero degli Interni ha risposto a una richiesta di informazioni da parte di Amnesty International confermando che non è stata intrapresa alcuna azione disciplinare contro il generale responsabile delle operazioni di polizia nell’ambito delle proteste sociali. L'organizzazione ha anche ottenuto le lettere inviate dal ministro al comandante generale della polizia in merito alle proteste del gennaio 2023, nelle quali non si fa menzione delle 18 persone uccise a Juliaca durante le operazioni di polizia.   

A diciotto mesi di distanza, le indagini penali sulle violazioni dei diritti umani commesse durante le proteste stanno avanzando lentamente. Secondo le informazioni disponibili, nonostante il presidente e i ministri siano stati convocati più volte per essere interrogati, i pubblici ministeri sembrano aver condotto finora indagini superficiali: si sono limitati a sbrigare le formalità senza entrare nel merito dei fatti, compresa l'eventuale responsabilità penale individuale della presidente in veste di comandante in capo della polizia e delle forze armate. 

I procuratori hanno fatto qualche progresso nell'identificare diversi ufficiali di polizia e militari come sospettati nei procedimenti penali, ma continuano a trascurare i funzionari chiave della catena di comando, in particolare alcuni alti comandanti del PNP, come sottolinea Amnesty International nel suo rapporto. 

"Il Perù non può lasciare impunite queste gravi violazioni dei diritti umani. Molte delle vittime provengono da comunità indigene e campesine la cui voce è stata storicamente ignorata. I responsabili del dolore di centinaia di persone che hanno perso i propri cari o sono gravemente ferite devono affrontare la giustizia, a prescindere dal loro grado", ha dichiarato Marina Navarro, direttrice esecutivo di Amnesty International Perù.