Il documento, The great palm oil scandal: Labour abuses behind big brand names, indaga sulle piantagioni di olio di palma in Indonesia, di proprietà di Wilmar, azienda dell’agro-business basata a Singapore. Le ricerche hanno permesso di tracciare l’olio di palma e ricondurre a nove aziende di importanza globale: AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellog’s, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever.
“Le compagnie chiudono un occhio di fronte allo sfruttamento dei lavoratori lungo la filiera produttiva. Nonostante abbiano promesso ai clienti che non ci sarebbe stato sfruttamento lungo la filiera dell’olio di palma, i grandi marchi continuano a trarre profitto da gravissimi abusi. Queste rivelazioni scioccheranno qualsiasi consumatore che crede di fare scelte etiche nel supermercato, quando acquistano prodotti che affermano di utilizzare olio di palma sostenibile,” ha dichiarato Meghna Abraham, investigatrice senior per Amnesty International.
“I grandi marchi come Colgate, Nestlé e Unilever assicurano ai consumatori che i loro prodotti contengono “olio di palma sostenibile”, ma le nostre indagini rivelano che l’olio di palma è tutto tranne sostenibile. Non c’è nulla di sostenibile in un olio di palma che è prodotto usando il lavoro infantile e il lavoro forzato. Gli abusi scoperti nell’ambito delle operazioni della Wilmar legate all’olio di palma non sono episodi isolati ma bensì sistemici, e il risultato prevedibile del modo di fare business della Wilmar.”
“C’è qualcosa di sbagliato quando nove aziende il cui turn over combinato è di 325 miliardi di dollari nel 2015 sono incapaci di fare qualcosa a proposito dell’atroce trattamento riservato ai lavoratori dell’olio di palma, che guadagnano una miseria.”
Amnesty International afferma che farà campagna per chiedere alle aziende di informare i clienti se l’olio di palma contenuto nel gelato Magnum, nel dentifricio Colgate, nei cosmetici Dove, nelle zuppe Knorr, negli snack KitKat, nello shampoo Pantene, nel detersivo Ariel provengono o meno dalle piantagioni indonesiane di Wilmar.
Abusi sistematici lungo la filiera produttiva
Amnesty International ha parlato con 120 lavoratori che lavorano nelle piantagioni di proprietà di due subappaltatori Wilmar e tre fornitori della stessa, a Kalimantan e Sumatra, Indonesia. Le indagini hanno evidenziato una serie di abusi, tra i quali:
- Donne costrette a lavorare per lunghe ore sotto la minaccia di decurtamenti dello stipendio, pagate al di sotto del salario minimo – per un guadagno che in casi estremi si ferma a 2.50 $ al giorno – e costrette a tenere un impiego insicuro, senza piano pensionistico o assicurazione sanitaria,
- Bambini, tra i quali anche fanciulli di soli otto anni, impegnati in un lavoro fisico pericoloso e pesante, spesso in piantagione dopo scuola per aiutare i genitori.
- Lavoratori che riportano gravi ferite a causa del paraquat, un componente chimico estremamente tossico usato nelle piantagioni nonostante sia stato vietato nell’UE e dalla stessa Wilmar,
- Persone costrette a lavorare all’aperto senza le adeguate protezioni di sicurezza nonostante il rischio di danni al sistema respiratorio dovuto a livelli pericolosi di inquinamento causati da incendi nelle foreste nei mesi di agosto e ottobre 2015.
- Lavoratori obbligati a lavorare turni molto lunghi per raggiungere obiettivi di produzione estremamente alti, con compiti che richiedono uno sforzo fisico molto importante come ad esempio manipolare attrezzature per tagliare frutti da piante alte 20 metri. Tentare di raggiungere gli obiettivi prefissati può lasciare i lavoratori con forti dolori fisici, senza considerare il fatto che sono sottoposti a penali per cose quali: non raccogliere i frutti di palma da terra o raccogliere frutti non maturi.
Wilmar riconosce che sussistono questioni legate alle condizioni di lavoro nei suoi stabilimenti. Nonostante questi abusi, tre dei cinque coltivatori di olio di palma sui quali Amnesty International ha indagato in Indonesia sono certificati come produttori di olio di palma “sostenibile” secondo la Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile, organizzazione creata nel 2004 per ripulire l’immagine del settore dopo scandali ambientali.
“Questo rapporto mostra chiaramente che le compagnie hanno usato la Tavola rotonda come scudo per proteggersi da un esame approfondito. La nostra indagine ha rivelato che queste aziende hanno delle politiche forti sulla carta ma nessuna di esse ha potuto dimostrare di aver individuato rischi evidenti lungo la filiera Wilmar,” ha dichiarato Seema Joshi, direttrice del settore Business e diritti umani.
Dubbi riguardo le dichiarazioni di “sostenibilità”
Utilizzando i dati sulle esportazioni e le informazioni pubblicate da Wilmar, i ricercatori di Amnesty International hanno ricondotto l’olio di palma a nove marchi globali produttori di alimenti e prodotti di uso generico. Sette di queste aziende hanno confermato di usare olio di palma prodotto da Wilmar in Indonesia ma solo due – Kellogs e Reckitt Benkiser – si sono detti pronti a dare dettagli riguardo i prodotti toccati.
Tutte le aziende tranne una hanno aderito alla Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile, e affermano di usare “olio di palma sostenibile” sui propri siti internet o sulle etichette dei propri prodotti. Nessuna delle aziende contattate da Amnesty International ha negato che avvengano violazioni, o ha fornito esempi di azioni intraprese per affrontare la questione degli abusi dei diritti dei lavoratori nell’ambito delle operazioni della Wilmar.
“I clienti vorranno sapere quali prodotti sono collegati ad abusi e quali non lo sono. Nonostante siano state confrontate con questi terribili abusi nell’operato del loro maggiore fornitore, le aziende hanno mantenuto il più grande riserbo riguardo i prodotti toccati,” ha dichiarato Seema Joshi.
“Le aziende devono fare prova di maggiore trasparenza riguardo gli ingredienti dei loro prodotti. Devono informare sulla provenienza della materia prima contenuta nei prodotti che troviamo negli scaffali dei nostri supermercati. Fino a quando non accetteranno di farlo saranno in qualche modo complici degli abusi in materia di diritti dei lavoratori che avvengono nelle piantagioni. Dimostrano una totale mancanza di rispetto nei confronti dei loro clienti che credono di fare una scelta etica acquistando i loro prodotti.”
Le iniziative volontarie non bastano, sono necessarie regole vincolanti
Amnesty International chiede ai governi ospiti e a quelli in cui hanno sede le multinazionali importatrici di olio di palma di mettere in atto le misure necessaire. Le iniziative volontarie non sono sufficienti. I governi devono mettere in atto riforme politiche e adottare leggi che obblighino le imprese ad esercitare il loro dovere di dovuta diligenza lungo tutta la filiera produttiva. In Svizzera un’ampia coalizione di ONG, tra le quali anche Amnesty International, ha consegnato lo scorso ottobre 120'000 firma a sostegno di un’iniziativa popolare per multinazionali responsabili. L’iniziativa chiede delle regole vincolanti per far sì che le imprese siano tenute a proteggere i diritti umani e l’ambiente nella totalità delle loro relazioni d’affari. Questo dovere di diligenza si applica anche alle attività all’estero.
Le peggiori forme di lavoro minorile
Il rapporto documenta come bambini dall’età di otto fino ai 14 anni svolgano lavori pericolosi nelle piantagioni di proprietà e gestite da fornitori e società sussidiarie di Wilmar. Lavorano senza equipaggiamenti di sicurezza in piantagioni dove vengono usati pesticidi tossici, portano sacchi di frutto di palma che possono pesare dai 12 ai 25 chili. Alcuni di loro non frequentano più la scuola per poter lavorare con i genitori tutto il giorno, o almeno buona parte della giornata. Altri lavorano nel pomeriggio, dopo scuola, durante il week-end e le vacanze scolastiche.
Un 14enne che raccoglie e trasporta frutti di palma in una piantagione di proprietà della Wilmar ha raccontato ad Amnesty International di aver lasciato la scuola quando aveva 12 anni perché il padre malato non era in grado di raggiungere gli obiettivi di lavoro che gli erano imposti. Ha detto che i suoi fratelli, di 10 e 12 anni, lavorano nella piantagione dopo la scuola:
“Ho aiutato mio padre tutti i giorni per circa due anni. Ho frequentato la scuola fino alla quinta elementare, ma poi ho lasciato la scuola per aiutare mio padre che non riusciva più a lavorare. Era malato… Rimpiango di aver lasciato la scuola. Mi sarebbe piaciuto andare a scuola per diventare più intelligente. Mi piacerebbe diventare insegnante.”
Il lavoro fisicamente difficile e molto stancante può avere conseguenze per i più piccoli. Un bambino di 10 anni che ha lasciato la scuola a otto anni per aiutare il padre, impiegato da un fornitore della Wilmar, ha raccontato di alzarsi alle 6 del mattino per andare a raccogliere e trasportare frutti di palma. Ha raccontato di lavorare sei ore al giorno, tranne la domenica.
“Non vado a scuola….trasporto i sacchi con i frutti sfusi tutto da solo, ma riesco solo a trasportarli mezzi pieni. Sono difficili da trasportare, pesano. Lo faccio anche sotto la pioggia, ma è difficile… Mi fanno male le mani e tutto il corpo.”
Donne vittime di lavori forzati, stipendi bassi, discriminazione e esposizione a prodotti chimici tossici
Il rapporto mette in evidenza la pratica discriminatoria nell’assunzione di donne come manodopera occasionale giornaliera, negando loro un impiego fisso e le prestazioni sociali quali l’assicurazione sanitaria e la pensione.
Amnesty International ha pure documentato casi di lavori forzati e di capisquadra che minacciano le lavoratrici con il non pagamento o la riduzione del salarioper estorcere loro lavoro.
Una donna che lavora in un’unità per la manutenzione delle piante di palma ha detto ad Amnesty International di subire forti pressioni per lavorare più a lungo, con minacce più o meno esplicite:
“Se non raggiungo il mio obiettivo mi chiedono di continuare a lavorare ma non vengo pagata per le ore supplementari…la mia amica ed io abbiamo detto al caposquadra che eravamo molto stanche e volevamo andare a casa. Ma lui ci ha detto che se non volevano lavorare potevamo andare a casa e non tornare più. È un lavoro difficile perché gli obiettivi sono impossibili…. Mi fanno male i piedi, le mani e la schiena dopo il lavoro.”
La legislazione indonesiana sul lavoro è molto solida e la maggior parte di questi abusi possono essere reati penali. Ciononostante poco viene fatto per far valere queste leggi. Amnesty International chiede al governo indonesiano di migliorare l’applicazione delle leggi e di indagare sugli abusi messi in evidenza dal rapporto.
Informazioni supplementari
I ricercatori di Amnesty International hanno tracciato l’olio di palma da raffinerie specifiche direttamente rifornite dalle piantagioni oggetto dell’indagine, collegandolo a 7 delle aziende in questione – Colgate-Palmolive, Reckitt Benckiser, Nestlé, ADM, Elevance, AFAMSA e Kellog’s attraverso la sua joint venture. Le altre due aziende – Unilever e Procter & Gamble – hanno confermato di fornirsi di olio di palma dalla Wilmar e in Indonesia, ma non hanno risposto alle domande di Amnesty International riguardo le raffinerie fornitrici. Partendo dal fatto che si riforniscono in Indonesia e che Amnesty International ha tracciato l’olio delle piantagioni al centro di questo rapporto, riconducendo a 11 delle 15 raffinerie Wilmar, è altamente probabile che queste aziende siano rifornite da una o più di queste raffinerie.
Amnesty International ha chiesto alle imprese di confermare se l’olio di palma contenuto in una serie di prodotti venisse dalle operazione indonesiane di Wilmar: solo due aziende (Kellog’s e Reckitt Benckiser) lo hanno confermato. Colgate e Nestlé hanno riconosciuto di ricevere olio di palma da raffinerie Wilmar in Indonesia. Amnesty International ha ricondotto queste raffinerie alle piantagioni oggetto di questa indagine. Ciononostante Colgate e Nestlé hanno affermato che nessuno dei prodotti elencati da Amnesty International contiene olio di palma proveniente dagli stabilimenti Wilmar in Indonesia, senza però indicare in quali prodotti esso sia impiegato. Due altre (Unilever e Procter & Gamble) non hanno corretto la lista. Le altre tre aziende hanno dato risposte vaghe, se hanno risposto.